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Ecco com’era il mondo del lavoro prima della pandemia

Prima del coronavirus solo una persona su venti in Europa lavorava in smart working. In Italia erano appena il 3,6% ma i full-time home workers erano una rarità tra i dipendenti. Media, comunicazione e servizi alle imprese erano i settori più coinvolti.

Uno su venti. Prima che sul mondo si abbattesse la pandemia da nuovo coronavirus e il lockdown imponesse lo smart working era questa la quota di europei tra i 15 e i 64 anni che erano soliti lavorare dalla propria abitazione. A censirli è stata Eurostat, che ha pubblicato i dati aggiornati al 2019. Numeri che appunto dicono che solo per il 5,4% dei lavoratori europei ufficio e domicilio coincidevano. Una quota, bene sottolinearlo, sostanzialmente stabile da un decennio, periodo nel quale è cresciuta dal 6 al 9% la quota di quanti, saltuariamente, lavoravano da casa.

Nel Nord Europa percentuali più elevate

Olanda e Finlandia, entrambe con un 14,1% di persone per le quali il lavoro agile rappresentava la normalità, erano i paesi nei quali questa pratica era maggiormente diffusa prima della pandemia. All’altro capo di questa classifica ecco invece la Bulgaria, dove appena una persona su 200, ovvero lo 0,5% dei lavoratori tra i 15 ed i 64 anni, lavorava da casa. L’Italia, secondo le stime Eurostat, vedeva appena un 3,6% della popolazione in costante smart working.

Un dato che, sempre nel 2019, secondo il rapporto annuale 2020 curato da Istat è invece pari al 5,7%. Per quanto questa percentuale sia composta da uno 0,8% di persone per cui la casa è il luogo principale di lavoro, da un 2,7% per le quali è luogo secondario e da un 2,2% per cui è un luogo occasionale di lavoro. Mentre per il 73,4% degli occupati l’ufficio rimaneva l’unico luogo all’interno del quale svolgere la propria attività.

L’identikit del lavoratore agile

Ma chi erano queste persone che già prima che il lavoro da remoto diventasse la prassi per tutti operavano secondo questa modalità? Secondo Istat erano soprattutto i lavoratori autonomi. Il 3,7% di quelli che vengono definiti autonomi puri, ovvero senza dipendenti, era solito lavorare da casa già nel 2019, cui si aggiunge un 3% di dependent contractors, ovvero di lavoratori formalmente autonomi ma che hanno bassa autonomia sia nella determinazione dei compensi sia nella modulazione della propria attività. Tra i dipendenti a tempo indeterminato questo vale invece appena nello 0,3% dei casi, nello 0,1% per quelli con contratto a termine.

La casa diventa luogo secondario di lavoro per il 6,9% dei dependent contractors e per il 5,6% degli autonomi, si sale rispettivamente all’8,2% e all’8,3% se la considera come luogo occasionale per svolgere la propria attività. Per il 2,1% dei dipendenti a tempo indeterminato, invece, la casa è “ufficio” secondario, per lo 0,7% lo è solo occasionalmente.

E mentre anche in Italia è iniziata la campagna di inoculazione dei vaccini contro il Sars-CoV-2, sul fronte dello smart working ci si interroga se questo cambiamento imposto dalla pandemia sarà permanente, se cioè anche una volta terminata l’emergenza le aziende faranno ricorso al lavoro agile o se, finita la pandemia, si tornerà alla normalità degli uffici.

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