Le nuove tecnologie ridisegnano gli scenari produttivi e spingono le PMI alla ricerca di risorse umane in grado di gestire la trasformazione sia dal punto di vista tecnico-operativo sia sul fronte delle soft skill trasversali. Secondo il Market Watch PMI, realizzato dall’ufficio studi di Banca Ifis in collaborazione con Format Research sul tema delle nuove competenze e della formazione, nel biennio 2019-2021 l’83% delle piccole e medie imprese ha avuto bisogno di personale dotato di nuove capacità.
Ma quali sono le abilità ricercate dalle aziende? Il 59% delle PMI ha spiegato di avere necessità di competenze legate alle tecniche di produzione specifiche per il proprio settore; un altro 28% di collaboratori in grado di gestire soluzioni digitali e circa un quarto (24%) di soggetti specializzati nell’industria 4.0. Per l’8%, infine, sono necessarie risorse esperte nell’area Smac (social, mobile, analytics, cloud).
Il mismatch tra domanda e offerta emerge chiaramente sul fronte delle competenze tecnico-digitali: il 58% delle aziende che reputa necessarie nuove skill in ambito produttivo non ha trovato il personale ricercato, così anche per il 37% delle imprese che reputa fondamentali nuove capacità di gestione in ambito 4.0.
La sete di nuove capacità in ambito digitale emerge chiaramente anche dal fabbisogno dichiarato dalle aziende per il prossimo triennio: se infatti le figure esperte di tecniche produttive restano le più ricercate (42%), al secondo posto si trovano sia le competenze digitali in genere, sia quelle legate alle tecnologie 4.0 (entrambe al 39%).
La difficoltà di individuare le persone giuste spinge le aziende ad accelerare sulla formazione delle risorse interne, le cui competenze sono soggette a rapida obsolescenza a causa del progresso tecnologico.
Quando invece la ricerca avviene fuori dall’azienda, le PMI adottano perlopiù un orientamento basato sulle relazioni territoriali per individuare le risorse di cui hanno bisogno. Il 48% delle ricerche di personale avviene, infatti, tramite il passaparola. Nel 41% dei casi si ricorre alle agenzie di head hunting, università e Its sono coinvolte solo in minima parte per individuare i profili adatti (14%). Residuale il rapporto con i centri per l’impiego, che riguarda appena il 6% delle aziende intervistate.
Non di rado le PMI ricorrono a più di una soluzione contemporaneamente. «I canali sono diversi», afferma ad esempio Federica Gili, che si occupa di amministrazione del personale e controllo di gestione in Comat Servizi Energetici. «Ci affidiamo ai cosiddetti cacciatori di teste», spiega, «ma non di rado si cercano persone che abbiano collaborato con l’azienda come partner o competitor, delle quali conosciamo già le competenze. C’è anche una collaborazione con l’Università di Torino per l’attivazione di tirocini che poi possono proseguire con contratti di apprendistato all’interno dell’azienda».
Non sono solo le competenze tecniche ad essere ricercate dalle PMI ma anche le cosiddette soft skills, ovvero quelle capacità relazionali o di comunicazione in grado spesso di fare la differenza all’interno di un gruppo. In una scala da 1 a 100, è 45 il valore che le Pmi attribuiscono a queste caratteristiche. Team working e problem solving sono considerate le due soft skill più importanti anche dalle imprese intervistate, raccogliendo, rispettivamente, il 63 ed il 52% delle indicazioni. Seguono flessibilità (40%), capacità di comunicazione (38%) e di prendere decisioni (28%).
In generale, le PMI trovano difficoltà a reperire sul mercato le soft skills se le si cerca in figure tecniche. Per questo motivo spesso la selezione si orienta su collaboratori con un background tecnico consolidato, intervenendo poi con corsi di formazione dedicati allo sviluppo delle capacità di team working e problem solving. Nello specifico, la competenza รขmorbida’ più difficile da trovare rimane la flessibilità: la cerca il 40% delle imprese intervistate, la stessa quota che confessa di faticare a trovare persone che ne siano dotate.