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Questo articolo è stato pubblicato il 19 aprile 2014 alle ore 08:12.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:13.
«L'impianto giuridico-finanziario dell'Italia è diverso da quello francese. Oltralpe le opere vengono finanziate via via che c'è necessità, attraverso un'apposita agenzia nazionale. Così come è accaduto, ad esempio e di recente, per la galleria fra le discenderie di Saint-Martin-de-la-Porte e La Praz. Sono certo che lo stesso accadrà per il tunnel di base».
Stempera l'allarme e si dice sicuro che, alla fine, Francia e Italia arriveranno pronte all'appuntamento con l'appel à projet, Mario Virano, commissario di Governo per la Torino-Lione e presidente italiano della Cig.
Eppure l'allarme arriva non da un comitato No Tav, bensì da Transalpine. Crede che sia ingiustificato?
Penso sia corretto, da parte di Transalpine, porre sul tavolo un problema. In questo momento, in Francia, è fortissimo il dibattito sui tagli che il Paese deve affrontare per stare nei parametri fissati da Maastricht. Ciò detto, però, sulla Torino-Lione c'è un impegno diretto da parte di Hollande. Ed è questo che conta.
Che cosa può e deve fare l'Italia per scongiurare il rischio?
L'attenzione è massima, più che da parte dell'Italia, a livello comunitario. Non a caso abbiamo già incontrato anche la Bei in Lussemburgo, per cercare una rapida soluzione. Con forme di finanziamento che non è detto che siano solo ed esclusivamente pubbliche.
Per ciò che riguarda il terzo trattato da sottoscrivere, non ha il timore che i tempi lunghi di approvazione possano far slittare l'avvio dell'opera?
Non credo. Anche perché, una volta approvato il progetto e definite le procedure di appalto per il tunnel di base, prima di partire con il cantiere sarà necessario un periodo di circa due anni per le opere di preparazione, come lo spostamento dell'autoporto di Susa e dalla pista di guida sicura. Inoltre, c'è chi sostiene che trattandosi di un protocollo addizionale, l'iter parlamentare di questo terzo atto, almeno in commissione, sarà più rapido che in passato.
Per una volta l'Italia ha comunque l'orgoglio di essere davanti…
Sì. Anche se, in questo cammino, lo sforzo è e deve essere comune.