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Questo articolo è stato pubblicato il 19 gennaio 2013 alle ore 10:30.

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Una mossa a effetto di Beppe Grillo era attesa come inevitabile ormai da qualche settimana. Da quando le cinque stelle dell'ex comico si erano alquanto appannate. Colpa di un certo numero di problemi interni al movimento, ma soprattutto del clima elettorale che tende a riportare l'attenzione del pubblico sui partiti tradizionali o comunque sulle forze con "vocazione" di governo.
In altre parole, Grillo aveva avuto tutto il palcoscenico a sua disposizione nei mesi scorsi, quando eravamo lontani dalle elezioni e i partiti avevano toccato il picco negativo del discredito. Ora il quadro è cambiato e le forze politiche sono in grado di mettere in moto le loro macchine propagandistiche. Di conseguenza Grillo stava scivolando, se non proprio nell'amgolo, certo un po' in disparte.
Non solo. Sul terreno che si definisce in modo approssimativo dell'«antipolitica», il capo del M5S trova dei concorrenti agguerriti. Ora infatti deve condividere il palcoscenico con un Ingroia il cui seguito sembra più cospicuo di quanto si potesse prevedere. E poi naturalmente c'è la Lega in cerca di resurrezione: la proposta di mantenere al Nord il 75 per cento delle entrate fiscali è un'astuzia suscettibile di riguadagnare alla causa del Carroccio il consenso di quei militanti, tanti o pochi, tentati dal "grillismo".
Ma c'è di più. Il vero problema di Grillo si chiama Berlusconi. Quanto più il vecchio leader del centrodestra, battendosi senza risparmio, riesce a riportare a casa una fetta dei suoi voti andati dispersi, tanto più l'ex comico vede accorciarsi la coperta. C'è un rapporto inversamente proporzionale fra i due serbatoi elettorali: se Grillo guadagna, Berlusconi perde. E viceversa.
Ecco allora la riscossa grillina. I colpi di ieri sono studiati con cura per colpire la fantasia dell'elettorato di centrodestra. In realtà non è la prima volta che Grillo attacca i sindacati come l'altra faccia della «casta» parassitaria, ma non c'è dubbio che in campagna elettorale l'effetto di certe frasi è dirompente. E il risultato scontato: da oggi il grande populista genovese è di nuovo sulle pagine dei giornali, avendo creato scandalo. Lui solo contro tutti. Ha offerto un miscuglio destra/sinistra in cui ci sono suggestioni a 360 gradi: i sindacati da «eliminare», certo, ma anche l'auspicio di uno Stato forte; e poi una «banca di Stato» a difesa dei più deboli.
Sono idee che non vanno valutate nel merito (chi pensa che in una democrazia occidentale si possano liquidare le forze sindacali?), ma che servono a mettere nuovo carburante nel motore elettorale del movimento. Grillo fa sapere di essere tornato e di volersi giocare la partita.
Le sue reti pescano in ogni direzione. Si intuisce la preoccupazione per l'espansione della «rivoluzione civile» di Ingroia, ma soprattutto la volontà di contenere la rimonta di Berlusconi. È come se egli dicesse ai simpatizzanti berlusconiani che hanno guardato a lui con interesse: attenti, non tornate a casa, restate con me che vi darò pane per i vostri denti. E così, nel giorno in cui il governatore della Banca d'Italia adombra nuovi interventi sui conti pubblici e chiede alla politica il massimo di responsabilità, Grillo si ripropone come il re dei populisti. In evidente e serrata competizione con l'altro sovrano della materia.
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