La fuga delle start up: ecco perché i talenti spiccano il volo per Silicon Valley
Ingegneri, startupper, baby programmatori, imprenditori illuminati. Talenti che vogliono fare una start up. Se ne vanno dall'Italia. Prendono il primo volo per Silicon Valley, la Mecca della tecnologia. Qui trovano quello che in Italia non c'è: capitali, competenze, ottimismo. Non sono mossi dalla pura logica del profitto, seguono le logiche di chi vuole cambiare il mondo. E solo in Silicon Valley puoi trovare qualcuno che ti dà i soldi per farlo. «Arrivano tutti con un sogno da realizzare e sanno che non c'è altro posto al mondo in cui potrebbero farcela».
di Eleonora Chioda
3. La fuga delle start up / Silicon Valley, vengo anch'io!
Nella foto il team di Mashape. Dietro a destra, con Tshirt rossa: Marco Palladino
Altra storia, stessa destinazione, ma i protagonisti sono giovanissimi. Partiti da Milano, con la voglia matta di fare una startup. Segni particolari: 20 anni. «Nel nostro Paese fare una start up è come correre su un tapis roulant. Corri corri e sei fermo sempre allo stesso punto. In Silicon Valley puoi correre una maratona e vincerla!». Marco Palladino, oggi ha 25 anni e con 2 soci (Michele Zonca e Augusto Marietti) ha fondato Mashape, una sorta di Ebay per sviluppatori, dove acquistare o vendere componenti per integrare un software, valutata decine di milioni di dollari e con 10 dipendenti.
«Per 10 mesi abbiamo lavorato in uno scantinato a Milano per realizzare la versione beta del nostro software. Convinti che la nostra idea fosse buona, abbiamo bussato alle porte di tutti gli investitori italiani. Le risposte? "Bravi ma siete troppo giovani"; oppure: "bell'idea ma manca un business plan di 30 pagine". Intanto le offerte non arrivavano e quando sono arrivate erano ridicole».
Così i tre, sognando California, preparano un video e partecipano al TechCrunch 50 a San Francisco. Scoprono online che l'imprenditore filantropo Travis Kalanick, oggi Ceo di Uber, ospita gratis i giovani che partecipano alla conferenza. A patto che abbiano una grande idea e siano senza soldi. Grazie a Kalanick, in soli 7 giorni, i 3 iniziano a capire come gira, decidono di mollare l'Italia e trasferirsi. Tornano a casa per mettere insieme un po' di risparmi e ripartono a caccia di investitori. «Non eravamo nessuno. Non conoscevamo nessuno. Ma avevamo quello che gli altri non avevano: la disperazione e la faccia di bronzo. Lavoravamo in uno spazio in coworking fino a tardi. Dormivamo su materassini gonfiabili. Per mangiare andavamo alle conferenze e giravamo sempre con pacchi di biglietti da visita. All'Entrepreneurship week a Stanford abbiamo recuperato 1.500 indirizzi e-mail degli invitati e scritto a tutti». In quest' occasione incontrano i primi tre dipendenti (early employees) di Youtube che offrono loro un primo round da 51mila dollari. Altri 50mila arrivano da Massimo Sgrelli, imprenditore italiano che ora è in California a lanciare la sua startup.
«101mila dollari sono come una bomba a orologeria. Sai che durano un anno e devi diventare profittevole entro quel tempo. Così la nostra caccia agli investitori non aveva tregua. La cosa bella è che a San Francisco alla fine conosci tutti. Quando vai agli eventi hi-tech ti può capitare di incontrare il fondatore di Dropbox, l'investitore di Twitter, quello che ha reso grande Paypal, l'avvocato di Jeff Bezos di Amazon. Devi crederci. Avere la faccia di bronzo. Noi ci abbiamo creduto, e alla fine gli investitori hanno creduto in noi. Negli Usa finanziano un'idea. Un team. Non hanno bisogno di un business plan. A oggi abbiamo raccolto investimenti per 1 milione e 601mila dollari. Non abbiamo mai perso il controllo dell'azienda e, in quanto fondatori, siamo in larghissima maggioranza. Tutto questo in Italia non sarebbe stato possibile. Perché il mercato dei mergers & acquisition (m&a) è inesistente, i fondi di venture capital sono piccoli, le Initial public offering (Ipo) sono pochissime e manca un ecosistema su cui "scalare" (crescere di scala, ovvero di dimensioni ndr) e dividere il rischio: in Italia gli investors si prendono board seat anche con 50mila euro di investimento» commenta Palladino.
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