LONDRA - Ucciso, politicamente, da una nonna vagamente intollerante oppure assassinato da un tubo catodico di inattesa potenza? Accompagnato da questo interrogativo il primo ministro Gordon Brown andrà oggi a votare sospinto dal coro di una sconfitta annunciata. Forse un po' troppo presto, vista la sregolatezza del meccanismo elettorale britannico in grado di sovvertire, oltre ai pronostici, anche la volontà popolare.

Ma proprio questo - lo spostamento del pendolo politico britannico dal Labour al Tory party - è stato il mantra di una campagna elettorale che porterà oggi, dalle 7 alle 22, 44 milioni 260.051 britannici alle urne. Tanti ne hanno il diritto, ma se l'affluenza arriverà al 70% Londra sarà tornata alla media dell'epoca post bellica: nella consultazione del 2005, infatti, la percentuale era scivolata al 60% circa.

Questa volta dicono che non sarà così. Questa straordinaria campagna elettorale fitta di colpi di teatro, gravida di scenari mai visti, foriera di sviluppi epocali nel piccolo mondo delle isole britanniche, pare destinata a mobilitare votanti di ogni età e gusto politico. Tutto da vedere, anche se queste quattro settimane sono state capaci di rivoluzionare un esito che pareva segnato. Da almeno due anni. Da tanto, infatti, i sondaggi sulle intenzioni di voto collocano i conservatori in testa. Un trend che era arrivato a indicare un gap di 10-15 punti fra il partito di Cameron e quello di Brown. Poi la gestione esperta della crisi da parte del governo inglese aveva progressivamente ridotto la divaricazione, fino al marzo scorso quando un sondaggio indicava due soli punti di differenza - 36 Tory 34 Labour - con i liberaldemocratici attorno al 18 e anche meno. Un miraggio. Dopo il budget, ovvero la Finanziaria inglese, firmata dal Cancelliere dello Scacchiere Alistair Darling il 24 marzo scorso, il ritmo dei sondaggi ha ripreso a battere a favore dei Tory. Il 6 aprile, quando è scoccata l'ora dello sciogliete le righe alla Camera dei Comuni, YouGov uno dei più quotati istituti di ricerca politica, indicava: 40% per i conservatori, 32% per i laburisti, 17% per i liberaldemocratici. Sono bastati 90 minuti, il 15 aprile, per fare di quello che appariva un duello dall'esito annunciato, un'improvvisa, inattesa, soprattutto incerta corsa a tre. Novanta minuti di dibattito televisivo fra i leader negli studi di Itv.

Per la prima volta dieci milioni di spettatori entravano in contatto virtuale con Nick Clegg e il telegenico leader della terza forza inglese guadagnava il 61% del gradimento. Quello è stato l'istante del cambiamento, la svolta che segnerà le elezioni e forse la storia di un paese che si è ritrovato multipartitico con i maggiori raggruppamenti decisi a spartirsi gli elettori, un terzo a testa. Un risultato che significa parlamento senza maggioranza, ovvero destinato a scenari di coalizione, sconosciuti a nord di Calais. È stato l'istante, soprattutto, in cui s'è spalancata sul dibattito politico inglese la prospettiva della riforma elettorale per introdurre, come i liberaldemocratici vogliono, il sistema proporzionale.

L'altro passaggio-chiave di questo mese dove le esigenze delle spettacolo hanno dominato sulla centralità dei programmi è avvenuto il 28 aprile. Ancora una volta la televisione e ancora una volta a giocare un pessimo scherzo a Gordon Brown. Reduce da un incontro con un'elettrice che si lamentava dell'immigrazione, il premier è stato sorpreso da un "micorofono aperto" dare della razzista all'anziana signora Gillian Duffy. Scuse e atti di pentimento non sono bastati a risollevare le sorti di un premier che precipitava nei sondaggi collocandosi, solidamente, alle spalle dei LibDem. Il terzo passaggio-chiave è stato l'endorsement dei giornali: tutti quelli di qualità si sono schierati con i Tory, con la sola eccezione del Guardian che ha voltato le spalle a Gordon Brown per mettersi nelle mani di Nick Clegg.

Fra i popolari, Sun e Mail con Cameron, Daily Mirror con il premier. Troppo poco per risollevare le sorti di un primo ministro inciampato nella politica spettacolo e destinato, secondo l'opinione dei più, a trasformarsi nella figura più triste fra gli ospiti di Downing street, il grigio mister John Major compreso. Ma è presto per dire con certezza che Brown è politicamente morto. Non lo sostiene l'appeal, né il consenso, ma il sistema elettorale potrebbe, improvvisamente e inaspettatamente, resuscitarlo.

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