La convocazione a palazzo Grazioli, ieri pomeriggio alle 14. E poi la decisione: niente più inasprimenti di pena per i giornalisti che pubblicano atti di indagine (carcere fino a 12 mesi), intercettazioni telefoniche e foto del magistrato titolare dell'inchiesta (carcere fino a 2 mesi). Silvio Berlusconi ordina la marcia indietro. Con lui ci sono il suo consigliere giuridico Niccolò Ghedini, il ministro della Giustizia Angelino Alfano e il relatore del ddl intercettazioni Roberto Centaro. Era suo l'emendamento che raddoppiava i giorni di arresto per i cronisti nonché l'ammontare dell'ammenda (fino a 10mila o 20mila euro): la commissione Giustizia del senato avrebbe dovuto votarlo lunedì prossimo, ma ieri si è deciso di ritirarlo. Se fosse passato, il carcere - oggi evitabile pagando l'ammenda - sarebbe diventato una prospettiva concreta per i cronisti disposti a violare la censura sulle intercettazioni (per la pubblicazione di notizie, i 12 mesi di carcere previsti potevano essere evitati pagando 10mila euro di ammenda). Il tutto condito dalla sospensione temporanea dalla professione.

A questo passo indietro potrebbero seguirne altri. Un altro lo ha già anticipato il presidente della commissione Filippo Berselli e riguarda le maximulte agli editori per la pubblicazione degli atti di indagine, sui quali il ddl fa cadere il silenzio tombale. Il testo approvato in commissione prevede che la sanzione vada da 64.500 a 464.700 euro; Berselli proporrà di ridurre il minimo a 25.800 euro, e in questa direzione è disposto a muoversi Centaro. «Un minimo più basso - dice - consente di applicare sanzioni più contenute. È una modifica che in aula potrei presentare».

Il passo indietro - imposto dalla pioggia di critiche al provvedimento - è apprezzato dall'opposizione, ma è considerato poca cosa rispetto all'impostazione carcerocentrica del testo che, anche con le maximulte agli editori, fa scattare la censura su tutte le inchieste, fino al processo. Una censura che non piace neppure a una parte della maggioranza, a cominciare dai finiani già pronti, alla camera, ad affilare le armi se non verrà ripristinata la possibilità (introdotta a Montecitorio da Giulia Bongiorno e cancellata al senato da un emendamento Centaro) di pubblicare «per riassunto» gli atti non più segreti. «È una forzatura vietare di parlare del tutto di un'inchiesta fino alla chiusura dell'indagine preliminare» hanno ribadito Fabio Granata e Italo Bocchino. D'altra parte, la censura totale - e la previsione del carcere - preoccupa anche il Quirinale perché contrasta con la libertà di informazione più volte affermata anche dalla Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo.

La Federazione nazionale della stampa annuncia una «mobilitazione permanente e diffusa nel territorio, che dovrà sfociare in uno sciopero nazionale dell'intera categoria qualora non vengano apportate significative e positive modifiche ai testi in discussione», definiti «antidemocratici». Giudizio analogo a quello di giuristi e magistrati, secondo cui la tutela della privacy non realizza mettendo «il bavaglio all'informazione» e rendendo «impossibile ai magistrati la prosecuzione delle indagini con lo strumento delle intercettazioni».

Finora, l'iter al senato del ddl intercettazioni ha avuto un andamento muscolare, con governo e maggioranza impegnati a respingere qualunque modifica dell'opposizione. Per Anna Finocchiaro (pd) il ritiro dell'emendamento Centaro è «una buona notizia» ma il testo è «inaccettabile» perché «di fatto censura la libera stampa, in modo indegno per qualsiasi democrazia moderna». «L'abnorme aumento delle sanzioni per gli editori è ben più determinante nell'impedire la pubblicazione di qualsiasi notizia», rileva il dipietrista Luigi Li Gotti; Gianpiero D'Alia, Udc, critica la «logica del gambero» con cui procede il governo. E se il ministro dell'Interno Roberto Maroni continua a ripetere che il ddl non limiterà le indagini, tanto meno quelle di mafia, il finiano Granata, vicepresidente della commissione Antimafia, chiede invece di «salvaguardare» quelle indagini, «allargando» il ricorso alle intercettazioni anche ai reati satelliti di quelli mafiosi e «evitando di bloccare» quelle ambientali.

In Aula il testo cambierà ancora. Sono troppi i punti critici del provvedimento finiti anche nel mirino del Colle, riguardanti sia i limiti alle intercettazioni che la censura alla libertà di stampa. Berlusconi teme anche le «trappole» dei finiani a Montecitorio, sebbene nella maggioranza c'è chi non rinuncia alla muscolarità: «Basta rimettere la fiducia, e i finiani finiscono sotto schiaffo».

Sky contro la legge anti intercettazioni, «grande anomalia italiana»

 

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