L'accordo con la Cina, che dall'inizio dell'anno ha sancito la creazione di un'area comune di libero scambio, ha permesso all'Asean (l'Associazione dei paesi del Sud-Est asiatico) di formare la più vasta zona franca commerciale del mondo, con quasi 2 miliardi di abitanti, un volume di scambi che nel 2009 ha raggiunto i 212 miliardi di dollari e con l'obiettivo di una totale liberalizzazione del mercato entro il 2015. A quello con la Cina dovrebbero seguire analoghi accordi con la Corea del Sud entro l'anno e, più avanti ancora, con il Giappone e forse con l' Australia e l'India.
Ma il vero traguardo cui mira l'Asean è la creazione di una Comunità economica entro il 2015, come stabilito al vertice di Cebu del 2007. Per giungere alla quale occorre prima superare definitivamente la crisi internazionale, che peraltro in quast'area è passata assai più blanda che altrove. «Benché permangano varie sfide a una ripresa economica più vigorosa, siamo impegnati a muoverci in modo coordinato, tempestivo e risoluto per assecondare la fase di rilancio...che riteniamo incoraggiante, dato il ritorno del flusso di capitali nella regione», affermava il comunicato finale della riunione semestrale tenutasi l'8 e il 9 aprile scorsi ad Hanoi.
La marcia dell'Asean verso il Mercato comune deve comunque tener conto dei riflessi finanziari della scelta di creare un'area di libero scambio con la Cina. La mossa prefigura infatti una possibile vittoria della diplomazia monetaria di Pechino, che punta in prospettiva – facendo sostanzialmente dello yuan la valuta di riferimento – a guidare il processo d'integrazione economica di un'area di primario valore strategico.
Raggiungere questo obiettivo resta però tutt'altro che semplice, se solo si ricorda il faticoso avvio del processo di unione economica regionale e il fatto che il Sud-Est asiatico resta una regione economicamente complessa. Le perplessità rimangono anche di fronte all'accordo con il gigante cinese per creare la zona di "libero scambio", che non dispone ancora di strumenti monetari adeguati a convivere col mondo esterno.
In effetti, come potrà la divisa cinese, che non è convertibile, attribuirsi un ruolo-guida all'esterno dello spazio nazionale? Molto probabilmente bisogna rifarsi alle recenti esperienze cinesi nei rapporti commerciali col mondo esterno. Già ora sia a ridosso di Hong Kong, nella regione del Guangdong, sia nelle province ai confini con Vietnam, Laos e Birmania, gli esportatori cinesi vengono pagati in yuan. La Banca centrale cinese ha inoltre autorizzato le imprese di 5 città cinesi, tra le quali Shanghai, a regolare in yuan le loro operazioni di commercio estero con il Brasile e la Russia.
Il meccanismo messo in atto finora, estendibile all'Asean, funziona così: l'importatore paga con yuan comprati presso la Banca centrale del suo paese, che a sua volta li aveva comprati, con operazioni swap in termini di favore, dalla Banca centrale di Pechino. Per contro, le importazioni cinesi si regolerebbero nella divisa del paese Asean interessato. Si crea quindi una zona monetaria yuan che cerca di supplire alla sua non convertibilità.
Comunque alcune perplessità, oltre alla complessità del meccanismo, rimangono. La prima si riferisce al fatto che una zona di libero scambio presuppone, almeno in prospettiva, che i mercati finanziari siano liberalizzati annullando i controlli dei cambi sui movimenti di capitali. Ma proprio questa è la soglia – la ferma limitazione della convertibilità dello yuan alle transazioni commerciali – che la Cina non intende varcare. La seconda perplessità nasce dal fatto che il formarsi di una zona yuan svilupperebbe la creazione di asset in valuta cinese fuori dal territorio nazionale che potrebbero alimentare ulteriormente, come già avviene da Hong Kong, la speculazione sui mercati borsistici e immobiliari cinesi.
È probabile che i pericoli maggiori al progetto cinese di internazionalizzazone della sua valuta vengano dal Giappone, che ha stabilito un suo analogo accordo di libero scambio con l'Asean a partire dal 2012. La differenza fondamentale con il progetto cinese è che lo yen è una valuta convertibile già detenuta da tutte le Banche centrali dei paesi Asean. Si profila, quindi, un condominio - senza considerare la presenza dominante del dollaro – tra le due prime potenze economiche asiatiche, che presentano peculiarità differenti - bassi costi di produzione la Cina, convertibilità dello yen, oltre la superiorità tecnologica, il Giappone – altrettanto solidi con le loro risorse per creare il primo tassello di una zona monetaria più ampia (zona yen-yuan) asiatica.
Pechino afferma che entro il 2015 il 30% dei contratti commerciali Cina-Asean sarà regolato in yuan. Sarebbe un risultato notevole. Senza cimentarci in esercizi di rischiosa futurologia, è facile notare come si stia comunque delineando una zona monetaria di dimensioni gigantesche – basata sulle riserve nipponiche, cinesi e taiwanesi, cioè tra le più importanti al mondo – che eguaglia quelle del dollaro e dell'euro.

Sfide e strategie di una moneta dal grande futuro (di Giorgio S. Frankel)
DOCUMENTI / Le cifre della scalata continentale

 

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