ROSARNO - A casa ‘sti niri. A casa questi negri. Te lo urlano in faccia appena capiscono che sei un giornalista catapultato qui per raccontare che cosa sta succedendo a Rosarno, paese della Piana reggina di Gioia Tauro, dove dettano legge le cosche Pesce e Bellocco. Nulla qui si muove che queste due famiglie non vogliano. E nulla viene tollerato o combattuto senza il loro benestare.
Oggi gli agrumeti sono desolatamente vuoti. Non c'è nessuno o quasi che raccoglie e impila. Li chiamerà, domani, i lavoratori di colore? La domanda rivolta a un piccolo proprietario agricolo che non direbbe il suo nome neppure sotto tortura, cade nel vuoto. "Oggi no, domani neppure, poi vedremo". E' chiaro che la decisione non l'ha presa lui, ma l'antistato, la ‘ndrangheta, che resta per ora alla finestra anche perché il chiasso è troppo assordante e le luci di Forze dell'ordine e media sono accecanti. No, meglio restare in disparte anche perchè la Calabria, dopo l'attentato alla Procura di Reggio, è come una spia sempre accesa sul corpo malato del Paese.

"A casa questi negri" te lo urlano anche da una macchina ferma mentre risali a piedi via Nazionale, oltre due chilometri di strada accidentata come neppure a Beirut, dove da ieri notte fino a questa mattina gli immigrati, in gran parte clandestini, chiamati qui per raccogliere arance e mandarini, hanno messo a ferro e fuoco ogni cosa che hanno trovato, armati di attrezzi rudimentali e qualche accendino. Macchine distrutte, cassonetti incendiati e bastonate a chiunque si avvicinasse alle trincee di fortuna che hanno allestito mentre la gente assisteva dai balconi. Nessuno – secondo una regia studiata a tavolino e che vedrà successivamente il secondo atto, cioè la reazione, quando i riflettori si saranno anche solo un po' abbassati – reagisce per strada alle aggressioni e alle provocazioni. Nonostante le botte piovute su donne (una incinta) e bambini che, per la ‘ndrangheta di qui, sono ancora sacri. Anche questa è una sfida che non resterà senza conseguenze. Magari passeranno mesi, anni, ma la ritorsione ci sarà e sarà dura.

Le ambulanze da ieri vanno e vengono spesso senza motivo a sirene spiegate e il capitano della Polizia che gestisce le operazioni spiega che i suoi uomini dislocati per il paese non picchiano ma vigilano. Ciò non ha impedito che due immigrati fossero gambizzati venerdì.
Il cuore dei rosarnesi, la gente di colore la chiama e la ospita – qui la Caritas svolge un ruolo fondamentale e sono parecchie le famiglie che durante la stagione della raccolta si prodigano per aiutare chi è senza nulla e nulla ha da perdere – mentre la pancia ora la respinge. A casa sti niri. A casa questi negri, anche se per 30 euro al giorno, di cui almeno 10 dati al caporale, si spezzano la schiena dalla mattina alle sei al tramonto per impilare una dietro l'altra le cassette di frutta che prendono poi la via dei mercati ortofrutticoli del nord Italia. Arance e mandarini più pregiati raggiungono ancor più celermente le piazze straniere. Traffici rigorosamente gestiti dalle cosche, senza alcuna eccezione. Trenta euro che diventano 20 dopo il taglieggiamento del caporale, spesso di colore e mandato dalle cosche, ma che diventano 15 o anche 10 dopo il versamento dell'affitto per chi li ospita in stamberghe in cui la puzza è nauseabonda anche a metri di distanza. I più disgraziati dormono in fabbriche abbandonate dove la salute è inesistente e le risse e le ubriacature sono all'ordine del giorno. Già, perché molti di questi lavoratori nord africani, sub sahariani e, in misura ridotta, dell'Est Europa, spendono la gran parte di quel che resta in tasca per bere e pagare le prostitute. Insomma i soldi che gli immigrati ricevono in una mano – direttamente o indirettamente gestiti e autorizzati dalle cosche – vengono riconsegnati con l'altra mano a chi fa della disperazione un business.
La rivolta preoccupa per la prima volta in blocco la cittadinanza, dopo almeno 25 anni in cui si ripetono le stesse identiche scene di migrazione dalla Sicilia alla Calabria e da qui alla Campania o alla Puglia, per spezzarzi braccia e schiena sui campi di pomodori, sotto gli ulivi o le piante di agrumi.


Il perché lo spiega Domenico Ventre (nella foto) , un omone grande e grosso che impartisce ordini a un gruppo che definisce spontaneo e che si è riunito dalle prime luci dell'alba davanti al municipio di Rosarno, sciolto per mafia e ora guidato da tre commissari prefettizi.
Ventre spiega che hanno chiesto ai commissari di ripristinare la legalità ma quando provi a chiedergli se il problema a Rosarno sono i mandarini, così come nella Palermo di Johnny Stecchino era il ciaffico, risponde facendo finta di non aver capito la domanda. "Questi – dice – hanno messo a soqquadro la città e chi è fuorilegge se ne deve andare". Il concetto è chiaro: tutti.
Poi Ventre spiega come è nato l'incidente che ha portato al dramma. "Uno di loro ha fatto pipì davanti a un'abitazione privata – spiega Ventre – e il proprietario ha reagito sparando. A pallini però, sia ben chiaro".

Come no, e' chiaro, chiarissimo, anche se gli investigatori raccontano poi che sono mesi, anni, che nel silenzio dei media le sparatorie e i pestaggi – questa volta delle cosche verso chi osa ribellarsi – sono all'ordine del giorno.
La partita a scacchi continua e le conseguenze, per gli extracomunitari, arriveranno perché se c'è una cosa che le cosche non tollerano è che qualcuno osi spezzare il silenzio dell'omertà mafiosa.
http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com

 

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