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Per un nuovo inizio. Il discorso di Obama ai musulmani

di Barack Obama

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4 giugno 2009
(Reuters)
Il discorso di Obama (in inglese)

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La prima questione che dobbiamo affrontare tutti insieme è la violenza estremista, in ogni sua forma: ad Ankara ho già detto sena equivoci che l'America non è, e non sarà mai, in guerra con l'Islam; in ogni caso, tuttavia, noi non daremo mai tregua agli estremisti violenti che rappresentano una grave minaccia per la nostra sicurezza, perché anche noi biasimiamo ciò che le persone di tutte le confessioni religiose biasimano, ovvero il massacro di uomini, donne e bambini innocenti. Come presidente ho il dovere, in primis, di proteggere il popolo americano.

La situazione in Afghanistan dimostra quali sono gli obiettivi americani e perché dobbiamo lavorare insieme: più di sette anni fa gli Stati Uniti lanciarono la caccia ad al Qaeda e ai Taliban con un forte sostegno internazionale. Non scegliemmo di farlo, ma dovemmo farlo per forza. Io so che alcuni mettono in discussione o motivano gli attentati dell'11 settembre, ma cerchiamo di essere chiari: quel giorno al-Qaeda sterminò quasi 3.000 persone,uomini, donne, bambini innocenti, americani e di molte altre nazioni, che non avevano fatto niente di male contro nessuno. Ma al-Qaeda scelse di proposito di massacrare quelle persone, rivendicò gli attentati, e ancora oggi proclama la propria intenzione di voler continuare a fare stragi di massa. Al-Qaeda ha affiliati e agenti in molti paesi, sta cercando di allargare il suo raggio di azione: queste non sono opinioni sulle quali fare polemica, ma dati di fatto da affrontare.

Non lasciatevi ingannare: noi non desideriamo che i nostri soldati restino in Afghanistan, non abbiamo intenzione di aprire basi militari stabili: è anzi logorante per gli americani continuare a perdere i suoi giovani uomini e le sue giovani donne in questo modo. È difficile, costoso e politicamente complicato continuare quel conflitto, e saremmo felici di rimpatriare tutti i nostri soldati se potessimo essere certi che in Afghanistan e in Pakistan non ci sono più estremisti violenti che complottano di massacrare quanti più americani possibile, ma non possiamo ancora esserne certi.
È per questo motivo che abbiamo messo insieme una coalizione di 46 paesi: nonostante i costi, l'impegno dell'America non è mai venuto meno.
In realtà, nessuno di noi dovrebbe mai sopportare l'estremismo, che ha colpito e ucciso in molti Paesi. Ha ammazzato persone di ogni religione, più di chiunque altro proprio i musulmani. Le azioni degli estremisti sono incompatibili con i diritti umani, con il progresso delle nazioni, con lo stesso Islam. Il Corano dice infatti che chiunque uccide un innocente è come se uccidesse l'intero genere umano, e chiunque salva un solo uomo, in realtà salva tutto il genere umano. La fede intima di più di un miliardo di persone è decisamente più potente dell'odio vigliacco di pochi. L'Islam non è il problema nella lotta all'estremismo violento, ma anzi parte fondamentale della promozione della pace.
Noi siamo consapevoli che la sola forza militare non risolverà i problemi in Afghanistan e in Pakistan: per questo stiamo progettando di investire 1,5 miliardi di dollari l'anno per i prossimi cinque anni per aiutare i pachistani a costruire scuole, ospedali, strade, e aziende, e distribuiremo anche centinaia di milioni di dollari per aiutare gli sfollati, oltre a 2,8 miliardi di dollari che daremo agli afgani per fare altrettanto, affinché migliorino la loro situazione economica e offrano i servizi di base che la popolazione si aspetta. Vorrei ora affrontare la questione dell'Iraq: a differenza di quella in Afghanistan, la guerra in Iraq è stata decisa, e questa scelta è stata fonte di enormi polemiche nel mio paese e in tutto il mondo. Benché io sia convinto che in fin dei conti il popolo iracheno vive oggi molto meglio senza il dittatore Saddam Hussein, penso anche che quanto è successo in Iraq sia servito all'America per afferrare meglio come ricorrere ai negoziati diplomatici e quale è l'utilità di un consenso internazionale per risolvere, ogniqualvolta sia possibile, i problemi. A questo riguardo, vorrei citare le parole di Thomas Jefferson che disse: «Spero che la nostra saggezza cresca in misura proporzionale alla nostra forza e ci insegni che quanto meno ricorreremo alla seconda tanto più saggi diverremo».
Il mio paese ha adesso una doppia responsabilità, quella di aiutare l'Iraq a crearsi un futuro migliore e quello di lasciare l'Iraq agli iracheni. Ho già detto espressamente a questi ultimi che l'America non ambisce ad avere alcuna base in territorio iracheno, non ha pretese da accampare sul suo territorio o sulle sue risorse. La sovranità dell'Iraq è esclusivamente irachena. Per questo motivo le nostre brigate combattenti per mio ordine dovranno ritirarsi entro il prossimo mese di agosto: rispetteremo questo impegno e l'accordo siglato con il governo iracheno democraticamente eletto di ritirare il contingente combattente dalle città irachene entro il mese di luglio e tutti i nostri soldati entro il 2012.
  CONTINUA ...»

4 giugno 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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