La Federal Reserve ha consolidato la sua fiducia nella ripresa economica degli Stati Uniti, rivedendo al rialzo le stime sul prodotto interno lordo per il 2010. Il Federal open market committee (Fomc), il braccio di politica monetaria della Federal Reserve, la banca centrale degli Stati Uniti, nel corso dell'ultima riunione dello scorso 26 e 27 gennaio ha detto di stimare la crescita del Pil di quest'anno in una forchetta compresa tra il 2,8% e il 3,5 per cento.

Nella riunione precedente, quella di novembre, il dato era stato visto in crescita tra il 2,5 e il 3,5 per cento. Per quanto riguarda invece il tasso di disoccupazione, le previsioni per il 2010 sono state portate a un range tra il 9,5 e il 9,7%, mentre la stima precedente era per una forchetta tra il 9,3 e il 9,7 per cento. Il tasso di inflazione dovrebbe invece attestarsi tra l'1,4 e l'1,7%, contro il range tra l'1,3 e l'1,6% previsto in precedenza.

La crisi finanziaria, insomma, è sostanzialmente finita - almeno nella sua forma più acuta e certo non per gli effetti sull'occupazione - ed è iniziata una «modesta» ripresa dell'economia. Lo ha confermato il presidente della Fed di Filadelfia, Charles Plosser, secondo cui la Fed deve ora mettere fine ai suoi poteri straordinari di concessione credito alle banche e iniziare a vendere gli asset acquisiti. «Man mano che la ripresa economica riprende quota - ha detto Plosser - e la politica monetaria inizia a normalizzarsi, ritengo che si debba iniziare a vendere parte delle cartolarizzazioni di mutui presenti nel portafoglio della Fed».

Il portafoglio asset della Fed è salito a oltre 2mila miliardi di dollari da circa 800 all'inizio della crisi nell'estate del 2007. Gran parte di questo aumento è strettamente legato al maxiprogramma di acquisto dalle banche di asset sofferenti da 1.250 miliardi varato all'inizio del 2009. Secondo Plosser la banca centrale ha tutte le carte in regola per attuare una exit strategy senza scatenare pressioni inflazionistiche. «Possiamo rimuovere lo stimolo straordinario che abbiamo fornito sino ad ora - ha detto - senza generare un serio rischio di inflazione nel medio-lungo termine ma questo richiederà scelte di politica attente e difficile».

Dalle minute del Fomc rese pubbliche è emerso - oltre al ritocco al rialzo delle stime sul Pil e al dibattito su come e quando ridurre lo smisurato bilancio da 2.260 miliardi di dollari dell'istituto centrale - il netto dissenso del presidente della Fed del Kansas Thomas Hoenig, repubblicano e probabile prossimo candidato del Grand Old Party alla Casa Bianca, nei riguardi del numero uno della banca centrale, l'appena riconfermato Ben Bernanke. L'oggetto del contendere è il linguaggio usato la scorsa settimana da Bernanke, che ha ribadito come l'economia a stelle e strisce abbia ancora bisogno di una politica monetaria «molto accomodante» e che i tassi d'interesse bassi debbano essere assicurati per un «periodo esteso».

Hoenig ha votato contro ed ha aupicato che il Fomc esprimesse «un'aspettativa di tassi bassi per qualche tempo», addirittura prospettando un modesto rialzo nel breve periodo. Plosser, dopo il suo discorso al World Affair Council di Filadelfia, si è detto sostanzialmente d'accordo con il collega: «In effetti con questo linguaggio creiamo le basi per delle aspettative del mercato che rappresentano un problema». (Al.An.)

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