Incassato il successo sulla riforma sanitaria, Barack Obama mette mano a quello che è stato il più debole fra i suoi programmi per far fronte alla crisi, il piano di aiuti ai mutuatari in crisi, più di 11 milioni di famiglie che rischiano di vedersi pignorata una casa che ormai vale meno del mutuo, e sulle cui rate metà di loro sono in ritardo da almeno due mesi.
Questo è un obiettivo urgente. Sullo sfondo, con un'ombra crescente di giorno in giorno, l'appuntamento della riforma finanziaria, ormai pronta per la fase viva del dibattito al Senato. Il rinnovo e rilancio dell'Home affordable modification program (HAMP) è un impegno urgente di fronte a una situazione drammatica.

La riforma finanziaria, vero appuntamento storico del presidente Obama, sarà quella che fa o disfa l'immagine presidenziale agli occhi dei suoi elettori, che sulla riforma sanitaria restano profondamente divisi e a maggioranza per ora scettici.

Per la casa erano stati stanziati un anno fa 75 miliardi, nulla a fronte di quanto fatto per Wall Street, con l'obiettivo di arrivare a modifiche del mutuo per 3-4 milioni di famiglie entro il 2012. Solo 1,1 milioni hanno finora partecipato al programma, e solo 170mila dicono gli ultimi dati hanno raggiunto un accordo per rivedere o il mutuo o le rate.

Con un impegno di 14 miliardi, la Casa Bianca vuole ora offrire ai disoccupati la possibilità di diminuire il peso delle rate, o riducendo il mutuo e avvicinandolo al valore attuale dell'immobile, o allungando i tempi, o entrambe le cose. Interesserà i mutuatari disoccupati o sottoccupati, che sono i più in difficoltà. E prevede incentivi per le banche che parteciperanno al programma, e che già hanno avuto dall'HAMP incentivi sproporzionati spesso ai risultati raggiunti. Sulla riforma finanziaria c'è da dicembre un testo pronto della Camera, e dal 22 marzo c'è in aula al senato il testo messo a punto dalla commissione bancaria del senatore Chris Dodd, votato dai soli 13 membri democratici e pronto per la discussione.

Entrambi i testi hanno aspetti interessanti ma sono insufficienti, a giudizio di molti osservatori indipendenti, su due aspetti cruciali. Non affrontano chiaramente il problema del too big to fail, delle dimensioni accettabili di una dozzina di banche, le maggiori del paese, che ricevendo l'esplicito impegno pubblico ad essere comunque salvate in una eventuale crisi non possono essere così grandi, né così libere nei loro investimenti più a rischio, da mettere eventualmente in serio periocolo le casse statali. Nessuno e neppure gli Stati Uniti si può permettere un secondo megasalvataggio fra alcuni anni, sarebbe la fine delle monete occidentali.

Punto secondo, entrambi i testi non affrontano chiaramente il nodo della regolamentazione dei derivati, che del rischio potrebbero essere probabilmente anche futuro la causa principale. In più, il testo del Senato non è ancora chiaro sull'autonomia della nuova Agenzia per la difesa del consumatore di prodotti finanziari, che la Casa Bianca vorrebbe indipendente in toto e su cui si concentrano gli sforzi lobbistici di Wall Street.

Oggi Paul Volcker, che della nuova regolazione bancaria è diventato il simbolo, parla a Washington e probabilmente dirà che la resolution authority, il potere dei regolatori di diminuire le dimensione di una banca se fiutano pericolo, e nuovi ratio di capitale non sono sufficienti per superare il problema del too big to fail. Non lo sono perché lasciano troppo spazio alla discrezionalità dei regolatori, che già si sono dimostrati ampiamente inefficaci. Volcker può contare al Senato su una pattuglia di senatori, guidati dal democratico del Delaware Ted Kaufman, che ha parlato chiaro e forte. E ha fornito, con un discorso tenuto l'11 marzo in aula, la prima vera completa analisi della crisi, cause, storia, costi e rimedi, finora offerta dalla Washington ufficiale, Nessuno lo aveva fatto prima di lui neppure, in modo completo, Obama.

Esistono, con Wall Street, margini di compromesso paragonabili a quelli esistenti con l'industria della sanità e che hanno consentito il varo della riforma sanitaria? Sembra difficile. O ci sarà una riforma che Wall Street non vuole, contro cui lotterà con tutta la forza di un lobbismo che sta spendendo al momento 1,4 milioni di dollari al giorno secondo il sottosegretario al Tesoro Neal Wolin, o ci sarà una finta riforma, su too big to fail e derivati. Una riforma dovrà esserci prima di novembre, quando si vota. E il metro per giudicarla è chiaro: fosse stata pronta nel 2007-2008, avrebbe evitato o di molto ridotto il costo del crac di Wall Street?