Tra Grecia e Turchia c'è una rivalità che ha radici antiche e coinvolge ogni aspetto della vita dei due paesi. Una vicinanza difficile costellata da tensioni diplomatiche su Cipro e Ue e da sconfinamenti aerei nell'Egeo. Ma che dopo dieci anni Ankara potesse battere tre a zero Atene nella partita dell'economia è stata una sorpresa per tutti gli osservatori.

Nel 2001 la Turchia era nel pieno di una crisi finanziaria che portò a un calo del 5,7% del Pil, a una svalutazione del 46%, con un sistema bancario al collasso salvato da un provvidenziale prestito dell'Fmi da 25 miliardi di dollari e da un piano di salvataggio pari al 30% del Pil, un'inflazione al 54%, la fiducia nel paese ai minimi, i capitali in fuga dal Bosforo e le elezioni anticipate all'orizzonte che spazzarono via una classe dirigente inetta e corrotta.
La Grecia, al contrario si stava preparando alla trionfale entrata nell'euro, il Pil cresceva del 3,4%, la produttività era migliorata del 4,2% e i capitali arrivavano copiosi sia privati sia dai Fondi strutturali Ue, consentendo di avere un'ampia liquidità e tassi reali in rapida discesa. Atene aveva in tasca una valuta solida come il marco tedesco: un traguardo storico.

Dopo quasi un decennio la situazione si è rovesciata. Atene è nel pieno della peggiore crisi dal dopoguerra con un Pil che quest'anno è previsto in calo del 2,25% (la Commissione europea prevede -2%), un deficit stellare nel 2009 del 12,9%, debito al 115% (sempre nel 2009), 54 miliardi di euro da rifinanziare in titoli di stato a un tasso attorno al 6%, con un differenziale di oltre 300 punti base con i bund tedeschi e i credit default swaps (Cds), l'indice che calcola il rischio solvibilità di un paese, che ha toccato il 27 gennaio il record di 400 punti. E con l'ipotesi di dover ricorrere a un piano di salvataggio composto da prestiti bilaterali europei e soccorso dell'Fmi. Una situazione finanziaria disastrosa e un'immagine a pezzi.

Tutto questo mentre la Turchia ha deciso di non chiedere il rinnovo del prestito del Fondo monetario, ha messo sotto controllo l'inflazione (gli ultimi dati la indicano al 7,2%), i tassi sono stabili, il deficit 2009 è al 5,5%, il debito al 50,8% del Pil, e sebbene la crisi abbia fatto crollare l'economia del 4,9% quest'anno si stima un tasso di crescita del 4,5 cento.

Cosa è successo in questo decennio per spiegare l'incredibile sorpasso? «La Grecia - dice Tullia Bucco di Unicredit - è un paese dell'Eurozona, ma non ha saputo mettere a frutto i vantaggi derivanti dall'ingresso nella moneta unica. Il governo Karamanlis di centrodestra (all'opposizione da ottobre 2009, ndr) non ha saputo adottare le riforme strutturali per frenare il deterioramento della competitività del paese. Una politica poco accorta ha indotto un aumento dei salari pubblici a un tasso di crescita superiore a quello della produttività, spingendo così al rialzo i costi unitari del lavoro». Insomma si è dissipato, invece di investire.
Non solo. «La Grecia ha perso competitività rispetto ai partners, ha attratto pochi capitali stranieri e quando la crisi globale è scoppiata è rimasta più colpita rispetto agli altri paesi», ha detto Angel Gurria, segretario generale Ocse, pochi giorni fa in occasione della sua visita ad Atene. «Ora la Grecia deve come prima cosa rimettere a posto i suoi conti per rassicurare i mercati. Poi - ha aggiunto - Atene dovrà mettere mano alla riduzione dei salari pubblici, riformare il sistema fiscale, combattere l'evasione e ridurre i costi del sistema pensionistico».

«La necessità delle riforma delle pensioni – dice Gikas Hardouvellis, professore di finanza all'Università del Pireo – è urgente. Il deficit di bilancio, combinato alla piaga del lavoro nero, significa che finanziare il sistema pensionistico diventerà insostenibile in pochi anni. Già oggi alcuni fondi pensione riescono solo a far fronte al finanziamento delle pensioni in atto. Per questo una commissione di esperti di nomina governativa ha appena consegnato un rapporto al ministero del Lavoro che a breve presenterà una riforma».
Nell'impossibilità di utilizzare la leva del cambio per riguadagnare competitività, il governo greco avrebbe dovuto rispondere con riforme di stimolo della crescita. Ma la litigiosità interna e il basso grado di concertazione politica hanno rinviato il varo dei provvedimenti fino al collasso.
«La Turchia invece, dopo il via libera per il negoziato alla Ue nel 2005 ha ritrovato nuovo vigore per ristrutturare l'economia - dice l'economista Matteo Ferrazzi - e avere stabilità macroeconomica. Il debito pubblico (50,8%) e il deficit turco (-5,5%) sono meno della metà dei corrispettivi greci (115% e 12,9%), ed è questa l'anomalia più stridente tra un mercato emergente, come la Turchia e un paese dell'Eurozona che avrebbe dovuto avere una maggiore stabilità».

Ma la vera differenza è stata la fiducia degli investitori internazionali che hanno premiato Ankara con un flusso incessante di capitali sia in Borsa che negli investimenti diretti esteri rispetto ad Atene che ha visto assottigliarsi i capitali. Ankara, tra il 2005 e il 2007, ha ottenuto 60 miliardi di dollari, tre volte il flusso ottenuto nei venti anni precedenti.
E mentre il settore bancario greco, pur cauto, ha subìto gli effetti della crisi (Moody's ha declassato recentemente le cinque maggiori banche) il settore creditizio turco si è mostrato uno dei più solidi tra i paesi emergenti, dopo la crisi del 2001, con un ottimo rapporto tra prestiti e depositi (80%), alta capitalizzazione e basso finanziamento esterno.

Ora però la crisi può diventare un'occasione per Atene per recuperare il decennio perduto a condizione di rimettere i conti a posto, modernizzare il sistema impositivo, riformare pensioni e istruzione, investire nell'economia verde, combattere la corruzione. «L'economia greca - dice Yannis Stournaras, economista di Atene – ha bisogno di una ventata di liberalizzazioni». Ma nemmeno Ankara può dormire sonni tranquilli. Sebbene il premier Tayyp Erdogan guidi dal 2002 il paese verso lo sviluppo in un quadro di stabilità politica e macroeconomica, restano, secondo l'Ocse, alcune priorità quali il miglioramento del sistema scolastico, la riduzione del costo del lavoro, l'incremento del peso del settore privato, il taglio della burocrazia per le Pmi.

La sfida, per entrambi i paesi, è di nuovo aperta in un quadro di maggior collaborazione che permetta l'incremento dei commerci bilaterali e la riduzione delle spese militari (2,8% del Pil per Atene, 1,8% per Ankara secondo la Nato), un fardello che secondo il ministro turco per i rapporti con la Ue, Egemen Bagis, pesa troppo sui rispettivi bilanci. Forse è tempo di ridurre la tensione politica su un confine caldo che resta pur sempre quello tra due paesi appartenenti all'Alleanza atlantica. A chi il primo passo?

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