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Harry Potter e il regno del Falso

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 luglio 2010 alle ore 15:00.
L'ultima modifica è del 18 luglio 2010 alle ore 15:01.

Nel palazzo che ospita il «Sole 24 Ore», disegnato in vetro e alberi da Renzo Piano, c'è una saletta senza finestre, delimitata da armadi e punteggiata da ogni sorta di schermo, computer, iPad, notebooks, palmari. Web master poco più che teen ager discutono animatamente con uomini di industria pionieri dei new media in Europa. Imprenditori milionari e blogger incalliti litigano su un progetto, un'idea, una start up, un'impossibile application iPad. D'estate fa caldo, la luce è da acquario, la saletta è battezzata dagli spiritosi «Garage».

Lì dentro si progetta il futuro di questo giornale, su carta, web, tablet e tra menabò fantastici di inizio millennio, video colmi di suoni e colori, tv tridimensionali, nasce quello che un affascinante guru definisce con un sorriso «Progetto Giornale Harry Potter».

Un giornale da cui le foto, come nella fiaba del mago bambino, possano animarsi e prender vita, i titoli mutare con l'attualità, il testo autocorreggersi col fluire del tempo, le pagine offrire contenuti mirati all'anima e al cervello di «quel» lettore. Riesco a passare poco tempo nel Garage purtroppo, e me ne rincresce perché ha la passione, la ragione, e le idee dei «garage», i laboratori dove il mondo rinasce. E chi non sa ascoltare i ragazzi del Garage farebbe bene però ad ascoltare il capo economista del gigante Google Hal Varian: «Le tre cose più importanti che un giornale quotidiano possa fare oggi sono: sperimentare, sperimentare, sperimentare». Chi non «sperimenterà sempre» non sceglie la prudenza: fallisce e perderà il business, in tutta fretta.

Da qualche giorno bazzicano nel Garage studenti del Politecnico di Milano («neppure laureati!» mastica qualcuno, non so se ammirato o preoccupato). Ci insegnano a leggere, sì avete capito bene. Ci spiegano cioè, come il nostro cervello, i nostri occhi, la nostra attenzione fisica e psicologica varino se abbiamo in mano un giornale di carta, un libro, se siamo davanti allo schermo di un computer o un iPad. Seguendo i movimenti del bulbo oculare e l'attività cerebrale è possibile notare – schematizzo, e me ne scuso, la lezione del coltissimo Garage – come lettura e apprendimento mutino dalla carta al video. Sui media tradizionali si apprende «pattinando», sempre seguendo il testo, lettera dopo lettera, parola dopo parola, pagina dopo pagina. Online, invece, si impara e legge come il ciottolo che schizza sullo specchio d'acqua, si tocca e si riparte, si ritocca e vola ancora. Saltando attimo dopo attimo, senza fermarsi (e a giudizio del teorico Nicholas Carr, come vedremo, ne conseguono veri danni cognitivi).

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Tags Correlati: Brendan Nyhan | Brook Stony | Charles Taber | Feltrinelli | George Clooney | Google Hal Varian | Harry Potter and the Sorcerer's Stone | Harvard | Internet | Joe Keohane | Milton Lodge | Renzo Piano

 

Quella dei ragazzi del Politecnico non è solo un'importante lezione di neuropsicologia, è la variante che deciderà del business online, del futuro dei giornali tradizionali, dell'informazione via internet e infine della nostra democrazia. Perché mutando la natura di formazione dell'opinione pubblica critica come analizzata da Habermas una generazione fa, muta anche il modo in cui si genera il consenso: con il rischio di passare dal dibattito libero di idee, al cozzare populista di lobby e individui rancorosi.

L'università del Michigan ragiona dal 2005 su come assimiliamo i fatti e la loro verità o falsità. Il giornalismo tradizionale e la politica degli anni della tv di massa dal 1960 in avanti, tendono a credere che più informata sia l'opinione pubblica, più le sue scelte saranno raziocinanti. Il mio maestro della Columbia University Fred Friendly (interpretato da George Clooney nel meraviglioso film «Good Night and Good luck») ci ripeteva «Non tocca a voi dire ai lettori cosa pensare, tocca a voi dare loro le informazioni giuste perché possano decidere in libertà». Nell'era internet la retta via di Friendly diventa un labirinto di specchi, in cui il lettore si smarrisce con facilità.

Non basta più esporre chi ha un giudizio erroneo (Saddam aveva armi di sterminio di massa; Obama non è nato negli Usa, è un impostore e va arrestato) a «fatti» che correggano il suo pregiudizio per persuaderlo. Al contrario, lo studioso Brendan Nyhan ha scoperto un effetto boomerang: quando siamo persuasi di un'idea, per quanto assurda (Bush ha minato le Torri Gemelle; gli ebrei diffondono l'Aids) non basta apprendere i dati che ci confutano per mutare parere. Vedere dissolti dalla realtà, dai «fatti», i nostri pregiudizi li conferma ancor di più, ci fa sospettare di un complotto o di errori altrui. «In altre parole – osserva Nyhan – dire "Ho sbagliato" è difficilissimo».

Va smontato e ricostruito il modo in cui diffondiamo, analizziamo e comprendiamo l'informazione. Nel modello teorico tradizionale si immagina una lettura di giornali e libri, la discussione con amici e colleghi, l'ascolto di talk show e infine il giudizio, di opinione, politico, elettorale. Nella realtà del XXI secolo, dimostra James Kuklinski dell'Università dell'Illinois, il percorso è opposto. Individui e gruppi sociali prima si formano un'opinione, poi cercano online, alla radio, in tv e sui giornali i «fatti» che la comprovano. Se credete nel successo di Berlusconi comprerete la stampa a lui fedele, se siete persuasi che mini la democrazia quella che lo osteggia. Ritrovandovi online sempre in blog, siti e chat dove tutti son d'accordo con voi e chi dissente viene irriso e isolato.

In un esperimento di Kuklinski, citato da Joe Keohane del «Boston Globe», 1.100 cittadini vennero interrogati sul sistema assistenziale Usa. Quasi nessuno era bene informato, quasi tutti credevano invece di esser bene informati e i più ignoranti erano i più sicuri di sé. Confrontati con i propri errori, tutti però negarono l'evidenza, restando del proprio avviso, nella sindrome che Kuklinski definisce «ho comunque ragione io».

«Voci, gossip e false dicerie» hanno quindi una loro forza, e la spiega bene Cass Sustein, passato da Harvard alla Casa Bianca di Obama, in un saggio tradotto da Feltrinelli. Crediamo di giudicare secondo ragione, ma siamo guidati da emozioni che ci allontanano dalla verità. Una volta che abbiam creduto a una notizia, poi rivelatasi falsa, far marcia indietro ci crea troppo dolore e ci ostiniamo. Preferiamo negare la realtà e trincerarci nell'errore. Internet, dimostra Nicholas Carr nel saggio The shallows, contribuisce a modificare il nostro cervello in senso conformista, privandoci di criticità e facendoci omogeneizzare alle idee correnti. «Gli uomini preferirono le tenebre alla luce» dice il Vangelo di Giovanni. Come portarli «alla verità che rende liberi» sarà il gravoso e felice compito dei prossimi anni, nella transizione dai media tradizionali ai nuovi.

Una strada complessa, perché, concludono Charles Taber e Milton Lodge dell'Università di Stony Brook, sono proprio i presunti «esperti», gli addetti ai lavori, la classe colta, cioè coloro che dovrebbero guidare l'opinione pubblica, a resistere più di tutti davanti alla realtà che muta. Uomini e donne di successo nel passato, magari informati sul 90% dei fatti, se messi davanti alla prova di essere in errore sul 10% detestano «lo choc cognitivo» e difendono il falso. «Il dogmatico – conclude la filosofa Franca D'Agostini – si fa forza della propria e altrui ignoranza».
Il Giornale di Harry Potter che si progetta scanzonato nel Garage dovrà avere quindi la magica forza creativa del mago fanciullo, la sua affascinante capacità di trasformarsi, ma senza dimenticare che il potere oscuro dello stregone Voldemort è nascosto in ciascuno di noi quando ci ostiniamo a credere in quel che la realtà, magnifica e severa, nega. Spaventati dal futuro che irrompe, ci stringiamo nel passato tisicuzzo con i nostri simili, in errore quanto noi, ma rassicuranti e complici nel ripeterci «abbiamo ragione!». Quanto più siamo informati tanto più la danza dell'errore sarà fatale. Per sfuggire alle Sirene dell'ignoranza colta, occorre però anche il senso morale di Harry, il suo preferire luce e verità a tenebre e menzogna. Non sarà semplice, ma è la sola strada per salvare l'informazione, il suo business, la nostra comunità democratica.

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