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Questo articolo è stato pubblicato il 21 luglio 2010 alle ore 10:10.
Sarebbe un errore metterla nei termini di chi ha vinto o chi ha perso. Fini e Berlusconi, il Quirinale, i giornalisti: roba da tifosi. La modifica presentata ieri dal governo al disegno di legge sulle intercettazioni è innanzitutto una vittoria del buon senso. E del diritto – sia detto con serenità – dei cittadini ad avere un'informazione completa, ma non intossicata da sensazionalismi e dalla pubblicazione di dettagli privati più o meno morbosi.
I risvolti politici, ovviamente, non mancano. Con un presidente del Consiglio che ha dovuto subire una soluzione tutt'altro che gradita e che non ha nascosto il suo senso di frustrazione davanti a dinamiche che sente di controllare sempre meno. Con Gianfranco Fini che, dopo le dimisioni di Brancher e di Cosentino, può segnare al suo attivo un nuovo, significativo successo. E con una maggioranza sempre più al limite della crisi di nervi.
Ma le letture politiche non devono far perdere di vista ciò che conta: con le modifiche di ieri si è dimostrato che il disegno di legge del governo poteva e può essere migliorato; e anche che può, con un confronto finalmente più sereno, diventare auspicabilmente legge in autunno.
La protesta contro il Ddl, almeno nella sua componente non estremistica, ha voluto difendere l'uso delle intercettazioni come utile strumento di indagine e la possibilità di informare adeguatamente, non certo l'abusiva e morbosa violazione della privacy legata alla pubblicazione di conversazioni private.
Perciò le novità introdotte nel disegno di legge devono essere lette come una buona notizia per tutti. I lettori potranno continuare ad essere informati senza vincoli o reticenze; la privacy e la dignità delle persone avranno una tutela in più, nell'obbligo per i magistrati di separare ed escludere dal fascicolo le intercettazioni e gli atti non rilevanti sia prima che durante l'udienza filtro.
Una architettura che potrà e dovrà essere ancora migliorata, ma che comincia a presentarsi più equilibrata. Certamente migliore di quella che la versione originaria del Ddl avrebbe prodotto, ma migliore anche dell'attuale regolamentazione che si presta a non pochi abusi. Sarebbe stato probabilmente meglio evitare lo scontro dei mesi scorsi, ma alla fine il risultato che si fa strada è un buon risultato. Anche perché, al di là delle grida degli apocalittici, la democrazia in Italia ha dimostrato di essere ben viva e di cavarsela ancora non troppo male.