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Riforme impopolari? Serve una lady di ferro

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Questo articolo è stato pubblicato il 04 agosto 2010 alle ore 08:40.
L'ultima modifica è del 04 agosto 2010 alle ore 08:03.

Margaret Thatcher è per molti l'emblema delle politiche ultraliberiste perseguite con ottusa pervicacia e insensibilità verso i meno abbienti. C'è del vero in questo, così come ci sono molti luoghi comuni. Non è però per queste caratteristiche che Margaret Thatcher sarebbe utile all'Italia di oggi, ma per altri tre tratti distintivi: la politica delle "convinzioni" contro la politica dei compromessi, del consenso e del corporativismo; la concretezza e il parlare chiaro, senza retorica; la volontà di modernizzare un paese sclerotizzato.


Non si può comprendere Margaret Thatcher se non si ritorna alla Gran Bretagna degli anni 70. Il paese aveva dovuto elemosinare un prestito straordinario dall'Fmi; l'inflazione era rampante, e la sterlina era divenuta lo zimbello dei mercati monetari internazionali. Le grandi aziende statalizzate erano comicamente inefficienti. Nei servizi pubblici, fino a pochi anni prima il vanto del cittadino medio, i sindacati arrivarono a bloccare gli ospedali e persino la sepoltura dei morti. Ogni inverno ci si chiedeva se c'erano abbastanza scorte di carbone per assicurare luce e riscaldamento in caso di sciopero (Quando le luci si spensero, s'intitola un libro recente su quel periodo). Nessun governo, laburista o conservatore, osò o ebbe la capacità di contrastare lo strapotere sindacale.
Al paese occorreva una rottura con il passato. Le tre caratteristiche di Margaret Thatcher di cui avrebbe bisogno l'Italia di oggi si manifestarono proprio nelle grandi campagne di modernizzazione: l'abolizione dei controlli sui movimenti di capitale, le privatizzazioni, le liberalizzazioni, la riforma della City. Furono intraprese contro il consenso imperante nel paese e in Europa, ma anche contro l'opinione prevalente all'interno del partito conservatore, in gran parte avverso al mercato ed erede di una tradizione corporativista di "economia sociale" ammiratrice del modello renano. La prova che queste riforme furono un successo è che nessun governo che seguì pensò mai di tornare indietro, e furono imitate dai governi europei di tutti gli orientamenti politici.


Tutto il resto dell'operato del governo Thatcher è oggi molto più controverso, e ci ricorda che il confine tra la politica delle "convinzioni" e della sfida al consenso da una parte e l'ideologismo e la pervicacia dall'altra è molto labile.

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La lady di ferro andò al governo nel 1979 con un messaggio di "legge e ordine" ma, memore delle disfatte dei governi precedenti, a lungo evitò scontri con i sindacati. Solo dopo aver fatto accumulare scorte di carbone sufficienti, nel 1984 la Thatcher raccolse la sfida. Nonostante la maggioranza dei consigli locali avesse votato contro lo sciopero, il capo del sindacato dei minatori Scargill si rifiutò d'indire un referendum e mandò ostinatamente i suoi uomini allo sbaraglio. Dopo un anno lo sciopero finì senza che si fosse firmato alcun accordo.
Ma ciò che per alcuni fu la manifestazione di leadership e di decisione da parte della Thatcher, per altri fu la manifestazione d'insensibilità al dramma d'intere poplazioni colpite dalla chiusura delle miniere. Alcune critiche all'operato della Thatcher sono però ipocrite. Fu grazie a lei che il partito laburista potè liberarsi della zavorra di un movimento sindacale anacronistico e di leader ineleggibili come Michael Foot e Tony Benn, e divenne dopo alcuni anni un aspirante credibile al governo. E fu grazie a lei che nel 1990 si riuscì a mettere fuori legge la pratica incivile del closed shop, per cui solo gli iscritti a un certo sindacato potevano essere assunti da un'azienda. Anche in questo caso, nessun governo laburista mai pensò di reintrodurre questa pratica.


Anche la politica economica del governo Thatcher è un esempio del conflitto sottile e irrisolto tra leadership e ideologismo. Il primo governo Thatcher ebbe quasi una sola preoccupazione: sconfiggere l'inflazione attraverso il controllo dell'offerta di moneta. Pochi nel governo, e certamente non Margaret Thatcher, comprendevano la dottrina monetarista fino in fondo; ma quando la disoccupazione andò alle stelle, la popolarità del governo crollò, il partito conservatore chiese un ritorno al controllo dei prezzi e molti nel governo vacillarono, la lady di ferro decise personalmente di non deflettere: «Questa signora non si volta indietro», disse a un congresso. In questo mostrò di capire l'essenza del monetarsimo meglio di molti altri. L'inflazione fu sconfitta temporaneamente nel 1982, ma a un prezzo altissimo in termini di disoccupazione e scontri sociali; tanto che, senza la guerra delle Falkland del 1982 che risollevò la lady di ferro da un abisso d'impopolarità, oggi parleremmo della Thatcher come di un episodio effimero nella storia britannica. Da allora si discute all'infinito se si sarebbe potuto pagare un prezzo inferiore con più flessibilità: ancora una volta, quando bisogna dimenticare le convinzioni e le dottrine e ascoltare le proteste della società?
La Thatcher spazzò via il consenso prevalente dell'epoca anche nel campo della politica di bilancio. Nel 1981, in piena recessione, il cancelliere Howe osò ridurre la spesa e alzare le tasse, sfidando tutto il "consenso keynesiano" di allora. Dopo le elezioni del 1983, il nuovo cancelliere Lawson fece l'opposto: abbassò le tasse (rompendo un consolidato tabù) e in qualche caso alzando la spesa, ma raggiungendo ugualmente il pareggio di bilancio grazie alle privatizzazioni e al boom economico. I cinque anni successivi videro infatti la crescita media più alta del dopoguerra (se grazie a quei bilanci o per altro, non lo sapremo mai).


La concretezza e il parlare chiaro si manifestarono forse nel modo più compiuto in politica estera. Margaret Thatcher si oppose instancabilmente ai rigurgiti di statalismo di tanti progetti d'espansione dei poteri comunitari, spesso portati avanti dal suo grande nemico Jacques Delors. Celebre fu il discorso di Bruges, pronunciato di fronte a tanti leader (e parecchi membri del suo stesso governo) allibiti: «Non abbiamo ritirato le frontiere dello stato in Gran Bretagna solo per vederle reimposte a livello europeo, con un super-stato europeo che esercita un nuovo dominio da Bruxelles». Questa chiarezza e sincerità mancano oggi, di fronte al fiume di retorica che emana dalle istituzioni eruopee e dai meeting dei suoi leader: per esempio, la lady di ferro non avrebbe mai acconsentito all'aria fritta degli obiettivi di Lisbona.
Anche la politica di bilancio e la politica estera ci insegnano però come la politica delle convinzioni si possa trasformare facilmente in ideologismo al limite dell'ottusità; alla fine, entrambe causarono la caduta della lady di ferro. Per ridurre l'imposizione fiscale sulla middle class e il potere dei governi locali in maggioranza laburisti, la Thatcher impose a tutto il governo di sostituire le tasse locali sulla proprietà con la poll tax, una tassa fortemente regressiva perché gravante su ogni famiglia indipendentemente dal reddito (anche se con molte esenzioni). Ma quando scoppiarono le proteste in tutto il paese, il partito e il governo si affrettarono a scaricarla.


Quasi contemporaneamente, la Thatcher si oppose all'entrata nel Sistema monetario europeo, caldeggiata invece dai ministri delle Finanze Lawson e degli Esteri Howe per sconfiggere l'inflazione, fissando di fatto il cambio della sterlina con il marco. Anche in questo caso le motivazioni della Thatcher erano prettamente ideologiche: non voleva rinunciare alla dottrina monetarista, vedeva nell'entrata nello Sme un'ulteriore devoluzione di poteri all'Europa, e considerava i cambi flessibili come una manifestazione fondamentale del libero mercato. Lawson e Howe si dimisero, e poco dopo la Thatcher fu costretta a seguirli. Forse la storia le diede però ragione: il suo successore John Major entrò nello Sme, ma la breve esperienza finì ingloriosamente nel 1992 sotto i colpi della speculazione di George Soros, che costrinse la sterlina e la lira a uscire dal sistema.


La lady di ferro è oggi l'esempio classico del leader che guida proponendo misure anche impopolari, invece di seguire i sondaggi; che agisce in base a convinzioni profonde invece di perseguire il compromesso e il consenso; che è determinato a modernizzare una società in tanti aspetti sclerotizzata. Di questo avrebbe bisogno l'Italia. Ma questi tratti sono facili da definire sulla carta, molto più difficili in pratica: ciò che per alcuni è leadership visionaria, per altri è insensibilità ai moniti provenienti dalla società e dai suoi stessi ministri; ciò che per alcuni è il politico che procede a modernizzare il paese incurante del consenso, per altri è il politico dottrinario che, una volta imboccata la strada sbagliata, la mantiene pervicacemente contro tutto e contro tutti.

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