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Lavoriamo insieme per la crescita

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Questo articolo è stato pubblicato il 23 settembre 2010 alle ore 08:42.

In occasione del convegno di Genova che, nel centenario di Confindustria, dedichiamo a occupazione e competitività, ci siamo dati l'obiettivo di fare un punto sulle relazioni industriali nel paese. È un capitolo essenziale per rilanciare la produttività della nostra economia, per scommettere insieme al sindacato su nuove regole che pongano al centro dell'agenda comune di crescere di più per dare più salario ai lavoratori e più posti di lavoro al paese.

È un capitolo sul quale in questi anni Confindustria ha trovato l'accordo con le altre associazioni datoriali e con la maggioranza delle confederazioni sindacali per compiere importanti passi nuovi.
Abbiamo rotto l'immobilismo che per anni ha colpevolmente ritardato l'adeguamento delle relazioni industriali alla sfida del mondo globalizzato. È stato tanto più necessario, di fronte al nuovo mondo che esce dai tre anni della crisi più grave dal dopoguerra. Un mondo in cui Cina e paesi emergenti sono i mercati trainanti, ai quali agganciare l'export italiano innovando prodotti e processi, reti distributive e commerciali, con l'obiettivo di innalzare il valore aggiunto.
È solo così che difenderemo con successo il posto di quinta potenza manifatturiera che l'Italia, pur in una difficile crisi, ha saputo difendere mentre tutti gli altri paesi avanzati – Germania esclusa – hanno perso posizioni in volumi e valori.


La competizione per la produttività non è una gara al ribasso di salari e diritti, come vorrebbe chi è nemico della globalizzazione, chi invoca il protezionismo, chi non comprende che debito e deficit pubblico non possono costituire per l'Europa una difesa credibile dell'economia produttiva e dei posti di lavoro.
Al contrario, nuove regole comuni e più costruttive relazioni industriali servivano e servono per unire due obiettivi: più margini per le imprese, per meglio sfruttare impianti e turni, orari e straordinari, ma insieme più retribuzione detassata ai lavoratori attuali e più solide speranze di riassorbimento ai molti disoccupati nelle aziende colpite dalla crisi e impegnate nelle ristrutturazioni.


È un'ambiziosa agenda sociale comune e non solo economica, quella che ci siamo proposti con la svolta attuata in questi anni e fortemente voluta dalla Confindustria. L'obiettivo è quello di fissare con i sindacati principi e incentivi che uniscano finalmente l'interesse dell'impresa a quello del lavoro: senza alcuna confusione di ruoli e responsabilità, ma lasciando al passato ogni residuo ideologico di scontro di classe.

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Dal 4 ottobre il tavolo sul patto del prossimo decennio

Una nuova pagina, che ha come parola chiave la produttività, sempre all'insegna di quel riformismo

Tags Correlati: CGIL | Cisl | Confindustria | Emma Marcegaglia | Genova | Imprese | Pubblica Amministrazione | Uil

 

Abbiamo compiuto in due anni passi condivisi di rilievo tale da porre le basi per una rivoluzione nei rapporti tra parti sociali. Lo abbiamo fatto nel rispetto reciproco con il sindacato, ma con una forte convinzione di fondo ad accomunarci che rappresenta uno dei più importanti patrimoni di coesione sociale mai maturati nella lunga e difficile storia del paese.


Per questo, in vista del convegno di Genova, abbiamo deciso di raccogliere in un'unica pubblicazione dieci anni di documenti ed elaborazioni tecnico-giuridica sui temi del lavoro e di politica delle relazioni industriali di Confindustria.
La quantità di documenti e la lunghezza dell'arco temporale testimoniano la lunga attesa di Confindustria perché nel paese e nel sindacato maturasse la consapevolezza della necessità di regole diverse di fronte alla sfida del mondo nuovo, rispetto a quelle che erano state definite nello storico Protocollo del 23 luglio 1993.
L'attesa responsabile di tale maturazione è durata anni e anni. Nella grande crisi, insieme a Cisl e Uil e agli altri sindacati, a conclusione di un percorso fatto di comune intesa con tutte le organizzazioni di rappresentanza delle imprese, il 15 aprile 2009 abbiamo sottoscritto l'accordo che ha rafforzato il salario di produttività contrattato in sede decentrata e aperto alla possibilità di deroghe contrattuali contrattate per consentire a specifiche aree geografiche o ad aziende di rispondere al meglio al mutare della domanda.


Il sistema di relazioni industriali aveva più che mai la necessità di realizzare un modello di rapporti di tipo più partecipativo e meno conflittuale. L'abbiamo costruito. Sono orgogliosa di aver condiviso la responsabilità di questa innovazione con la parte largamente maggioritaria del sindacato italiano.
Se continua a mancare la condivisione della Cgil, proprio ora che si tratta di attuare le nuove regole calandole all'interno di importanti aziende e comparti decisivi, lanceremo da Genova un nuovo appello perché anche chi ha detto no alle nuove regole comprenda che la porta resta ben aperta. Perché nell'impresa italiana non vive oggi alcun istinto di meschina chiusura alle ragioni del lavoro, anche di chi le incarna e rappresenta nella maniera più combattiva. L'aspra competizione in atto sul mercato globale chiede a tutti un grande spirito civile di responsabilità.


Nessuno nel paese chiede ai dipendenti più lavoro a parità di salario, o pari lavoro a retribuzioni più basse, come pure è avvenuto altrove come in Germania e Stati Uniti. Nessuno in Italia ha mai pensato di mettere in discussione e tanto meno di ledere i diritti dei lavoratori sanciti dall'ordinamento.
Ciò che sappiamo e vogliamo, insieme ai sindacati che hanno condiviso tale impostazione, è poter cooperare meglio alla difesa e al potenziamento dell'industria italiana. Con nuovi investimenti, ai quali assicurare redditività certa per favorire l'estensione della base produttiva e occupazionale.
I fatti successivi all'accordo interconfederale di inizio 2009 ci hanno finora dato ragione. Già nel primo anno di applicazione sono stati rinnovati 29 contratti collettivi nazionali di lavoro e, in particolare, quelli dei principali settori e tutti, tranne il metalmeccanico oggi al centro di nuove polemiche, sottoscritti da Cgil, Cisl e Uil. Nonostante il difficile momento di crisi economica e produttiva, in virtù della riforma, nei negoziati sono stati abbandonati gli antichi rituali e le intese sono state raggiunte entro i normali termini di scadenza, senza particolari situazioni di conflittualità, garantendo a più di 4 milioni di lavoratori una crescita reale delle retribuzioni.


Tutto questo lo abbiamo fatto sapendo bene che gli accordi sul lavoro e le relazioni industriali coinvolgono pilastri essenziali sui quali poggia l'intera società e non il solo mondo del lavoro. Dalla flessibilità in entrata e in uscita al lavoro delle donne, dai fenomeni dell'immigrazione ai diversi aspetti della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, dalla riforma degli ammortizzatori sociali (un cantiere sempre aperto) agli interventi sulla previdenza pubblica e integrativa. E via elencando, passando dai temi della responsabilità sociale delle imprese agli assetti della contrattazione collettiva. Non c'è argomento di interesse per le imprese – possiamo ancora citare: la partecipazione dei lavoratori, l'orario di lavoro, le assunzioni obbligatorie, il recepimento delle direttive europee – che non sia stato affrontato per innovare, modificare, aggiornare, modernizzare e per trovare una soluzione coerente attraverso l'esercizio dell'autonomia collettiva, tramite gli accordi interconfederali o a seguito dell'intervento del legislatore, in sede di audizione parlamentare.


La quantità di temi affrontati e di argomentazioni tratte, che la pubblicazione rende evidente anche in termini fisici, dovrebbe indurre a qualche riflessione sulla necessità ulteriore di semplificare energicamente il nostro apparato regolatorio, sia di legge che di contrattazione. L'eccesso di dettaglio normativo non è la più efficace tutela per i lavoratori. In particolare per le aziende piccole e medie, oltre il 92% dell'imprenditoria privata del paese, il peso dell'eccesso normativo e regolatorio rappresenta un ostacolo pesante alla competitività.
Nell'attività svolta da Confindustria sulle materie del lavoro e delle relazioni industriali, il nostro costante punto di riferimento è stato migliorare la competitività delle imprese. E, lo sappiamo benissimo, non bastano solo nuove relazioni industriali. Servono riforme che, come ho avuto modo di ricordare più volte, devono riguardare la pubblica amministrazione, la ricerca, l'energia, l'istruzione, il credito, il fisco e il lavoro, solo per citare i principali campi di intervento.
Per ognuna di queste Confindustria ha anche tracciato - con il recente documento Italia 2015. Le imprese per la modernizzazione del paese – l'agenda delle azioni da intraprendere perché il paese possa tornare a crescere almeno al ritmo del 2% annuo. Si può fare, è un obiettivo alla nostra portata. Se solo la politica come gli attori sociali convergono su una logica di responsabilità invece che di scontro, di stabilità invece che di avventurismo.
Emma Marcegaglia è presidente di Confindustria
Il testo è uno stralcio della presentazioneal volume Confindustria e il lavoro 2000-2010

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