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Questo articolo è stato pubblicato il 25 settembre 2010 alle ore 13:08.
La storia delle traversie economiche del Giappone non è solo un racconto horror, come molti pensano. Sembrerà strano, ma le ragioni del declino dell'economia nipponica, che va avanti dall'inizio degli anni 90, sono da ricercarsi innanzitutto nelle tendenze demografiche. Non è una tesi nuova, ma mi è tornata in mente perché recentemente ho dato un'occhiata al Total economy database dell'istituto di ricerca olandese Groningen growth and development center, e ho scoperto che dal 1992 al 2007 (alla vigilia della crisi economica globale), il prodotto interno lordo (Pil) pro capite – cioè il valore approssimativo dei beni prodotti in un paese diviso per il totale della popolazione – del Giappone è sceso dall'88% al 76% in rapporto quello degli Stati Uniti.
Sembra poco incoraggiante, e infatti è così. Ma questo declino può essere spiegato, per due terzi, dall'invecchiamento della forza lavoro giapponese. Secondo l'Ocse, gli adulti in età da lavoro (cioè fra i 18 e i 65 anni) nel 1992 costituivano il 69,7% della popolazione giapponese, contro il 65,5% degli Stati Uniti. Nel 2007 tale percentuale in Giappone era scesa al 64%, mentre in America era salita al 67 per cento. È evidente che la demografia ha giocato un ruolo importante, anche se la storia non si esaurisce qui. Il Giappone ha anche un problema d'inadeguatezza della domanda, ed è per questo che deve fare i conti con una deflazione persistente, con un numero sempre minore di lavoratori che riescono a ottenere un impiego a lungo termine e con una disoccupazione in aumento a fronte di una diminuzione dell'orario di lavoro. In effetti il deficit di domanda dell'economia giapponese non è così grave come le cifre del Pil potrebbero far pensare.
Gran parte del calo relativo del Pil del Giappone rispetto agli Stati Uniti probabilmente ci sarebbe stato anche se l'economia giapponese fosse riuscita a evitare la trappola deflazionistica in cui attualmente si trova incastrata (è quando il calo dei prezzi rende consumatori e imprese meno inclini a spendere perché si aspettano ulteriori diminuzioni dei prezzi, e così facendo aggravano ancora di più la situazione economica). Nel caso del Giappone il risultato è un'economia depressa nonostante formalmente non vi sia una depressione.