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Questo articolo è stato pubblicato il 04 ottobre 2010 alle ore 09:37.
Cinque uomini per ogni donna. Non è una proiezione di come sarà il mondo tra due secoli. È la descrizione di una realtà assolutamente contemporanea. In questo rapporto c'è la paradossale demografia delle pubbliche amministrazioni italiane. O, almeno, dei loro vertici a livello locale. Nelle regioni, infatti, appena il 21% dei dirigenti di alta amministrazione è donna. In comuni e province questa percentuale cambia di poco: sono circa il 20 per cento. Se, poi, guardiamo alle posizioni non di vertice, il rapporto tra uomini e donne diventa di tre a uno. Segno che l'impermeabilità al sesso femminile dei posti di lavoro cresce con il salire della catena di comando.
Un dato suffragato da una constatazione: sono gli organi politici il luogo dove la parità di genere è davvero rimasta un progetto sulla carta. Come confermano anche i numeri di uno studio preparato dall'Osservatorio donne nella pubblica amministrazione, promosso da futuro@lfemminile e da Forum Pa. Anche se, enti locali a parte, non mancano i casi positivi: Inps, Inail, agenzia delle Entrate godono tutte di un rapporto più equilibrato tra uomini e donne.
Eccezioni che confermano la regola. Che è, appunto, quella di una Pa in cui le pari opportunità sono soprattutto uno slogan. Un esempio significativo arriva dalla Lombardia. «La regione promuove il riequilibrio tra entrambi i generi negli organi di governo», recita l'articolo 11 dello statuto, varato appena due anni fa.
Tradotto dal burocratese, il messaggio è semplice: bisogna assicurare l'accesso delle donne alla giunta del Pirellone. Se non proprio la parità, serve una degna rappresentanza. Almeno in teoria. Perché nella pratica il rapporto tra uomini e donne nel governo Formigoni è di 15 a 1. Con la sola leghista Monica Rizzi a tenere il vessillo delle quote rosa.
E non si tratta di un caso isolato. La presenza femminile in consigli e giunte di regioni, comuni e province è ancora bassissima. Nonostante nel lontano 2000 il testo unico degli enti locali abbia fissato il principio della parità di genere, da rispettare in tutti gli statuti per la composizione delle giunte. E anche se la legge 165 del 2004 ha aperto la strada alla determinazione di quote per la composizione delle liste elettorali. Oggi sono otto le leggi regionali che contengono tale previsione: quelle del Lazio, Puglia, Toscana, Marche, Campania, Umbria, Abruzzo e Calabria, che fissano vincoli per la composizione delle liste.