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Economia Lavoro

Troppi ostacoli sul lavoro, poco sostegno dallo stato: e le donne italiane non riescono a far carriera

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Questo articolo è stato pubblicato il 03 ottobre 2010 alle ore 16:44.

Per le donne in Italia la strada della carriera è ancora piena di ostacoli. La notizia non è nuova, ma è confermata da una nuova ricerca realizzata dal Gruppo Donne Manager di Manageritalia, che mette in luce la scarsa partecipazione delle donne al lavoro e ancor più nei piani alti dell'economia. Nel nostro paese le dirigenti sono l'11,9% del totale, contro una media europea del 33%. Ci superano persino la Turchia, con un 22,3%, e la Grecia con un 14,6%. Anche il confronto con i paesi più avanzati e vicini ci vede largamente perdenti: Francia 37,4%, Regno Unito 34,9% e Germania 29,3%.
A livello regionale, la Calabria (16,2%) e il Lazio (16%) sono ai primi posti per donne dirigenti, seguite dalla Lombardia (13,4%). Agli ultimi posti, invece, il Trentino Alto Adige (6,8%), l'Abruzzo (6,6%) e la Basilicata (6,3%).

Guardando alle donne nei consigli di amministrazione delle società quotate poi siamo al quartultimo posto con un misero 3,2% rispetto a una media dell'Europa a 27 dell'11,4% e alle vette superiori al 20% di Finlandia e Svezia e all'inarrivabile 42% della Norvegia. Anche a livello imprenditoriale le cose non vanno bene per l'Italia, visto che le donne imprenditrici sono il 23,4%, contro una media Europea superiore al 33%.

Sorprende che la più grande concentrazione di donne imprenditrici si trovi al Sud del nostro paese (25,8%) e al Centro (23,9%), mentre siano di meno al Nord, con il Nord Est addirittura in ultima posizione (20,9%). A livello regionale, poi, prevalgono Molise (30,6%) e Basilicata (28,1%), con Lombardia (20,5%), Trentino Alto Adige (20,3%) ed Emilia e Romagna (20,2%) ultime. Tra le città Napoli è al primo posto con il 26,1% di donne imprenditrici, mentre Milano è ultima con un 20%.

«Questa poca femminilizzazione dell'economia, soprattutto nelle sue posizioni apicali - lamenta Manageritalia - rischia di condannare il nostro Paese ad una continua perdita di opportunità di crescita. È infatti indubbio che se oggi le donne sono il 58% dei laureati, perdiamo in seguito tanti di questi talenti se le donne dirigenti sono solo il 12% nel settore privato, quelle imprenditrici solo il 23% e le donne nei consigli di amministrazione poche mosche bianche».

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Tags Correlati: Basilicata | Confindustria | Gruppo Donne Manager | Lavoro | Lombardia | Manageritalia | Marisa Montegiove | Ocse | Trentino Alto Adige

 

Tra le proposte ci sono forme di lavoro flessibile come orario elastico, part-time, telelavoro, ma anche incentivi alle imprese. «Nei prossimi anni - ha detto Marisa Montegiove, responsabile del Gruppo Donne Manager di Manageritalia - le donne saranno il vero motore di sviluppo dell'economia italiana. Infatti, a differenza dei principali paesi Ocse, che hanno già un'elevata partecipazione al lavoro delle donne, l'Italia potrà sfruttare il basso utilizzo del lavoro femminile come arma in più per crescere. Dobbiamo quindi lavorare perchè un grave deficit culturale diventi un vantaggio, perchè siano eliminati i costi della discriminazione femminile. Per far sì che le donne, che tra l'altro hanno un'elevata scolarizzazione, possano darci quel qualcosa in più per competere al meglio nell'economia della conoscenza».

«Sono dati che purtroppo non mi stupiscono più di tanto - commenta Paola Guidi, presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria - Sono anni che parliamo di questo problema, che oggi, in un mercato così competitivo, diventa ancora più pressante. In questo momento, non dare la stessa disponibilità di tempi e orari - spiega ancora Guidi - può essere un limite, a volte anche autoimposto per esigenze familiari e per mancanza di strutture adeguate. Per questi motivi, molte donne trovano difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro e ancora di più a fare carriera».

La risposta a questo problema passa per «politiche conciliative: quelle che mancano in questo paese, quelle che possono consentire a una donna di impegnarsi al pari di un uomo». Servono «supporti reali alle donne, e non parlo di asili sul posto di lavoro, ma di asili pubblici che abbiano tempi tali da consentire a una donna di lavorare al pari degli uomini. Invece siamo spesso di fronte ad asili pubblici con costi esorbitanti, liste di attesa infinite e orari esattamente opposti alle esigenze di una donna». La Guidi lascia spazio anche a «un minimo di autocritica: c'è un'impostazione culturale di fondo che forse va un po' scalzata. Delle volte ci sono degli alibi che andrebbero rimossi».

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