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Uno, cento, mille Raffaele Mattioli, tra banca e cultura

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Questo articolo è stato pubblicato il 23 novembre 2010 alle ore 08:15.

Gentile direttore, da quarant'anni la mia famiglia ha una libreria a Ivrea, che ho ampliato col tempo. Sto aprendo un nuovo spazio a Torino. Leggo sul Sole 24 Ore che le banche hanno ricominciato a fare credito. A chi, però? Un funzionario ha definito il mio settore «poco redditizio» e ha aggiunto che, come piccolo imprenditore, «non sono rassicurante». In questa operazione ho investito i risparmi di due generazioni. Per darmi l'altra parte di soldi, la banca ha ipotecato i locali e, all'ultimo minuto, ha peggiorato le condizioni. Le banche facciano attenzione: ogni imprenditore mollato nei suoi progetti è un cliente perso che avrebbe fatto di tutto per rimborsare i soldi. La fiducia è il primo capitale: per noi, ma anche per loro.
Italo Cossavella
Torino

Caro Cossavella, Torino sarà anche una città magica, ma le sue librerie lo sono di più. Non voglio qui citarne qualcuna per non sfavorire le altre, ma ecco la vetrina con i titoli illustrati più belli del mondo, ecco i tomi e le riviste appena pubblicati in America guardare la culla di Vittorio Emanuele II. Libri antichi e moderni, di denuncia e di riflessione, di ieri e di domani. Non c'è che Torino, "the last Italian town" secondo il critico di The Atlantic, Corby Kummer, per sentirsi bibliofili nell'era digitale. La sua lettera è una tristezza, perché conferma un trend che ben conosciamo: i piccoli librai cedono alle grandi catene. Negli Usa, ricorderà perfino un film d'amore sul tema di Barnes and Nobles contro i piccoli tipo Coliseum o Shakespeare and Co, quel duello si è concluso tempo fa con la vittoria dei grandi. Che ora, nemesi della storia, chiudono a loro volta travolti dall'e-book. Ci preme naturalmente che la cultura si tramandi, e se dopo pergamena, argilla, cera, papiro, piombo e carta adesso tocca all'elettronica va bene. Ma i libri, anche quelli antichi e quelli che ancora si stampano, devono avere le loro vetrine. Io comprendo le ragioni di chi il credito lo concede e non può, di questi tempi, sbagliare. Ma so che ci sarà ancora un erede di Raffaele Mattioli, il banchiere e uomo di cultura di un tempo, che la leggerà e proverà a darle una mano. Forza amici banchieri!

Più attenzione alle Pmi
Gentile direttore, ma le Pmi sono una risorsa o un problema per l'Italia? Il tessuto industriale è fatto per il 98% di Pmi: nel tempo sono state un punto di forza in grado di rispondere alle sollecitazioni del mercato. Da alcuni anni questa imprenditoria ha iniziato un processo di innovazione e rinnovamento. Ci attendono comunque sempre nuove sfide: un rapporto più proficuo con il mondo della ricerca, una presenza più qualificata sui nuovi mercati. Sono necessari progetti su tecnologie pervasive che vedano sempre più collaborazioni tra grandi imprese, Pmi e centri di ricerca. Poi, va considerata la variabile temporale. Nell'ambito di uno scenario di medio e lungo periodo quale raffigurato dal programma nazionale della ricerca, occorre garantire la certezza dei tempi e delle azioni predisposte. È necessario che la politica riparta per disegnare una strategia industriale che metta le Pmi al centro dell'attenzione.

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Carta Velina

Disegno di Domenico Rosa

Tags Correlati: Banca Mondiale | Caro Cossavella | Giulio Beliossi | Giuseppe Ponzi | Letteratura | Paolo Garzi | Raffaele Mattioli | Sergio D'Antoni | Torino | Vittorio Emanuele II

 

Giuseppe Ponzi
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Fuga o evasione?
Gentile direttore, la Banca mondiale ha rilevato che la pressione fiscale per le imprese italiane è salita al 68,8 per cento. Di fronte all'aggressione di uno squilibrato, ogni comune cittadino adotta come unica difesa ragionevole la fuga. Per un'impresa la fuga ha due distinte colorazioni: delocalizzazione ed evasione. Va sottolineato che quelle due armi sono le uniche possibili di fronte a una politica irrazionale, illiberale e contraria ai principi costituzionali. E sono armi utilizzate per reagire e non per aggredire. Auspico che Il Sole 24 Ore riprenda il dibattito, già ospitato la scorsa estate, sull'evasione fiscale.
Paolo Garzi
Arezzo

L'impresa che non c'è al Sud
Gentile direttore, ho letto quanto Sergio D'Antoni scrive sul riscatto del Sud (Il Sole 24 Ore del 19 novembre). A mio parere, la cosa va guardata con semplicità e in altro modo: la Germania ha "digerito" l'Est in vent'anni mentre noi non abbiamo "digerito" il Sud in centocinquanta. Chi può avere la temerarietà, alla luce delle esperienze di chi ha provato, di avviare attività in quei luoghi intrisi di delinquenza?
Giulio Beliossi
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email: letterealsole@ilsole24ore.com
gianni.riotta@ilsole24ore.com
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