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Questo articolo è stato pubblicato il 28 novembre 2010 alle ore 14:37.
Europa cresci in fretta (di Giuliano Amato)
Pronosticare la crescente marginalità dell'Europa nel mondo è diventata un'abitudine comune quanto quella di deridere gli errori di Bruxelles. Tutti gli studi prevedono che l'influenza delle economie europee sul panorama mondiale scenderà al di sotto del 10% (rispetto all'attuale 20%) in un paio di decenni. E risulta difficile apprezzare le decisioni della Ue.
L'incapacità di affrontare la crisi in maniera efficace è sintomo di un problema di leadership più profondo. Perché è stata l'Europa a soffrire le conseguenze più gravi e prolungate? La crisi irlandese ha fomentato ulteriormente il pessimismo. Gideon Rachman, per esempio, scrive sul Financial Times: «La mia scommessa in questo momento è che la moneta comune non riuscirà a sopravvivere e che il carnefice dell'euro sarà la Germania». La tesi di Rachman è che nuove crisi finanziarie finirebbero con l'esaurire la pazienza dei tedeschi, che giungeranno alla conclusione di aver fatto - e pagato - tutto il possibile, ma che sono gli altri paesi a non essere stati all'altezza delle situazioni. Di conseguenza, «la Germania si riterrà svincolata dal suo obbligo storico di costruire l'Europa».
Naturalmente, il crollo del sistema monetario europeo rappresenterebbe forse un colpo insostenibile per il progetto di un'Europa unita, il che ovviamente avrebbe ripercussioni negative per tutto il continente. Meno scontato è il fatto che il mondo, privato di un'Europa autorevole e integrata, debba diventare un mondo peggiore per tutti. L'Europa contagia positivamente il mondo con valori ed esempi migliori di quelli che giungono da qualsiasi altra parte del pianeta. Il declino economico e politico del Vecchio continente attenua la forza con cui si diffondono questi valori positivi.
Il ripudio della guerra che predomina in Europa, come conseguenza dei terribili conflitti che l'hanno caratterizzata nel secolo XX, viene visto con cinismo da coloro che confondono il pacifismo con la debolezza. Tuttavia, un mondo privo di una potenza disposta a sbagliare pur di evitare una guerra è pur sempre migliore di un mondo dove ai paesi forti non interessa l'idea di poter commettere degli errori nella scelta di condurre "guerre preventive".