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«L'euro moneta solida, non è a rischio». Ciampi: ora serve un rafforzamento dell'eurogruppo

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Questo articolo è stato pubblicato il 03 dicembre 2010 alle ore 07:43.
L'ultima modifica è del 03 dicembre 2010 alle ore 08:20.

Il primo messaggio è forte ed eloquente, e vale la pena di registrarlo con attenzione, non fosse altro perchè proviene da uno dei padri dell'euro. Le nuove turbolenze dei mercati finanziari, l'attacco all'euro non mineranno l'edificio costruito a fatica attorno alla moneta unica: «L'euro - premette Carlo Azeglio Ciampi - è una realtà stabile, forte, dalle fondamenta sicure. È una moneta solida e la Banca centrale sta operando bene». L'altra constatazione riguarda la perdurante debolezza politica dell'Unione: «La stessa Bce - osserva il presidente emerito della Repubblica - è ben consapevole che ora c'è più che mai bisogno di completare l'unione monetaria con un vero coordinamento delle politiche economiche».

Ciampi ci riceve nel suo studio a palazzo Giustiniani. È al lavoro come sempre. Tra qualche giorno, il 9 dicembre, il presidente emerito compirà novanta anni. La situazione interna desta preoccupazione. Il simultaneo attacco all'euro evoca scenari del passato.

Presidente, l'Europa è nuovamente sotto tiro. Cosa la preoccupa di più?
Paghiamo un doppio errore. È mancato il rigore sia nelle condizioni di ammissione di nuovi paesi nell'area della moneta unica, sia nella disciplina di bilancio. Torna una vecchia questione. Spesso in questi anni ho fatto ricorso al termine zoppìa: come si può mettere in campo una politica monetaria da vero stato federale e avere al tempo stesso politiche economiche che al massimo restano al livello di confederazione di stati. La strada è nel rafforzamento dell'eurogruppo, vero centro politico decisionale e motore dell'integrazione tra gli stati.

Il nodo, presidente, anche al di la dell'emergenza, resta quello della crescita. Per noi poi è una sorta di imperativo categorico.
Ecco la vera questione. Occorre una politica economica europea che consenta all'intera Europa e all'area dell'euro prima di tutto di crescere stabilmente. Occorre maggiore severità nei vincoli di bilancio. I paesi ad alto debito devono impegnarsi a conseguire avanzi primari in grado di garantire la sostenibilità del debito. Da ministro del Tesoro mi impegnai a mantenere l'avanzo primario al 4,5% del Pil. Ora siamo a zero, mentre sarebbe fondamentale arrivare quanto meno al 3 per cento. Mi meraviglia che non si riconosca con la necessaria decisione la rilevanza assoluta di tale questione. In realtà che non servono provvedimenti eroici, quanto una buona e costante gestione dell'economia. La crescita è precondizione essenziale per la stabilità.

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Tags Correlati: Bce | Ecofin | Governo | Italia | Jacques Delors | Jean Claude Juncker | Notre Europe | Ricordo Gerrit Zalm

 

L'instabilità politica può avere un prezzo sui mercati?
Il paese viene giudicato nel suo insieme. I mercati hanno bisogno di messaggi chiari e semplici. La fiducia è la conseguenza di scelte coerenti con gli impegni assunti. Certo vi è il rischio che venga meno la fiducia dei mercati. Ricordo Gerrit Zalm, il ministro delle finanze olandese: fu il più duro di tutti, tra il 1997 e il 1998, nel pretendere che l'Italia assumesse impegni precisi nel risanamento dei conti pubblici. Poi, quando questo impegno venne assunto, divenne uno dei nostri più accesi sostenitori. Ero a una riunione dell'Ecofin a Bruxelles. Un ministro espresse dubbi sull'Italia, e fu proprio Zalm a tacitarlo con queste parole: Carlo ha preso questo impegno e per me è sufficiente.

Non ritiene che se la crisi apertasi nella maggioranza dovesse condurre a elezioni anticipate saremmo esposti ad attacchi sui mercati difficili da gestire?
Ritengo comunque che occorrerebbe un governo di transizione per consentire al parlamento di varare una nuova legge elettorale e affrontare al tempo stesso i problemi più urgenti, primo tra tutti la crescita.

È quel che avvenne nel 1993 con il suo governo
Vedo in effetti delle somiglianze. Il mio governo operò bene. Chissà forse sarebbe stato preferibile che continuasse a lavorare, ma poi per motivi misteriosi fu mandato a casa. Un po' come avvenne nell'ottobre del 1998 con la caduta del governo Prodi. Mi fu chiesto di presiedere il governo, poi anche lì non se ne fece nulla.

Già, ma se fosse andata diversamente, non sarebbe stato eletto presidente della Repubblica
È vero. Chissà, forse sarebbe stato più utile al paese! Ma torniamo all'euro. È ora che si dia vita finalmente, lo ripeto, un coordinamento efficace delle politiche economiche. Mi rivolgo al mio amico Jean Claude Juncker, che presiede l'eurogruppo. Con l'euro, vero punto di non ritorno, si diede vita al patto di stabilità e di crescita. È proprio l'eurogruppo la sede in cui occorre decidere. Vorrei cogliere l'occasione anche per rivolgere un invito esplicito ai grandi e più prestigiosi think tank europei. Penso a Notre Europe, nato nel 1996 sotto la guida di Jacques Delors. Perchè non farsi promotori di idee, progetti e iniziative concrete? In fondo non è stato così anche per la moneta unica?

Torniamo al ruolo della Bce, presidente, che dopo la crisi della Grecia è chiamata a svolgere un compito decisivo, prima non previsto, nel sostegno diretto ai debiti degli stati sotto attacco. È possibile che la politica monetaria supplisca e fino a che punto alle carenze e incertezze della politica economica?
Guardi, resto fortemente convinto che l'euro sia la fortezza su cui si regge l'intera costruzione europea. Però siamo tutti ben consapevoli che con una gamba sola non si cammina, alla fine si può cadere. Occorrono entrambe le gambe. Certo, un maggiore rigore nella scelta dei paesi da ammettere alla moneta unica ci avrebbe tutelato maggiormente. Andai su tutte le furie, quando in un incontro con i vertici della repubblica ceca mi dissero che non era ammissibile una perdita anche solo parziale della loro sovranità. Allora, ribattei, non vedo perché volete entrare!

Ciampi ci congeda, rinviamo per gli auguri al 9 dicembre. Al termine della conversazione, torna in mente quanto da presidente della Repubblica disse a Strasburgo al Parlamento europeo riunito in sessione plenaria. Era il 5 luglio del 2005: «L'Unione europea non è e non può essere soltanto una zona economica di libero scambio. È soprattutto, e fin dalle origini, un organismo politico, una terra di diritti, una realtà costituzionale, che non si contrappone alle nostre amate costituzioni nazionali, ma le collega e le completa. È un organismo politico che non nega l'identità dei nostri Stati nazionali, ma li rafforza di fronte alle grandi sfide di un orizzonte sempre più vasto».

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