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Berlusconi, Bossi, Fini e Casini, tutti invitati alla tombola del 14

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Questo articolo è stato pubblicato il 07 dicembre 2010 alle ore 08:02.

A metà strada tra il thriller politico-cospirativo e la commedia all'italiana, l'orologio della crisi indica il 14 dicembre come la data delle date. Tutto ruota intorno a lei, come recita un famoso spot pubblicitario. Un po' prima, nell'eventualità (remotissima) in cui Silvio Berlusconi decidesse per le dimissioni. Lo stesso fatale giorno, visto che la Corte costituzionale (salvo possibili rinvii) decide sul legittimo impedimento del presidente del Consiglio. Immediatamente dopo, nel caso di sfiducia parlamentare o anche di fiducia per un soffio.

Si comprendono bene le preoccupazioni del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Va in porto, prima del 14, la legge di stabilità (ex finanziaria) e i conti pubblici vengono messi in sicurezza. Però, mentre continuano a soffiare insidiosi i venti targati WikiLeaks, proprio a metà dicembre si apre il vertice europeo dei capi di stato e di governo e si tiene la riunione dei ministri Ecofin sulla sulla riforma del patto di stabilità.
Sarà un governo saldo, sfiduciato o vacillante quello che si presenterà al vertice? Nessuno lo sa, e questo già la dice lunga sullo sbandieramento multipolare, e assai ipocrita, che da settimane è in corso per sottolineare "l'interesse del Paese". Paese ad alto debito (peraltro fin qui ben gestito) che può ritrovarsi, nel pieno della burrasca europea, nei gorghi della speculazione.

Infilatisi tutti nel collo di bottiglia del 14 dicembre, ciascuno prova a stappare le sue ragioni. Così il leader dell'Udc Pierferdinando Casini, per esempio, chiede (assieme a Gianfranco Fini e Francesco Rutelli) le dimissioni di Berlusconi entro il 14 perché già il 15 dicembre, ha spiegato, qualsiasi sia l'esito della fiducia il giorno prima, l'Italia potrebbe essere attaccata dalla speculazione internazionale. "Irresponsabile" è chi vuole aprire la crisi di governo che abbasserebbe il rating dell'Italia, ribatte Berlusconi. I mercati, per così dire, osservano.
Fiducia sì, fiducia no, dal 14 dicembre dipende anche il destino della riforma universitaria (messa in frigorifero) da approvare entro l'anno. E se non rischiano ora, tecnicamente, i decreti governativi da approvare entro il 23 dicembre sulla strada del federalismo fiscale, chi può mettere la mano sul fuoco sull'esito finale della partita federalista (il termine di 24 mesi per l'esercizio della delega sul federalismo scade il prossimo 21 maggio 2011)?

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Verso il 14 senza mediazioni e per ora senza un vincitore certo

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Il 14, dentro o fuori. Oppure una crisi pilotata. Breve, si dice. Ma quanto breve, dato che la speculazione in agguato aggredisce da un minuto all'altro, figuriamoci quando dispone di un preavviso? Si scruta nel passato, dove molti dei protagonisti di ieri si ritrovano nell'oggi, magari a parti invertite. Dicembre 1994. Berlusconi (che punta alle elezioni), abbandonato da Umberto Bossi e sostenuto da Fini e Casini, lascia dopo otto mesi di governo. È il 22 dicembre e il 13 gennaio 1995 il presidente della Repubblica Scalfaro conferisce l'incarico di formare il governo a Lamberto Dini, ministro del Tesoro del primo governo Berlusconi. Dini è presidente del Consiglio il 17 gennaio, il 22 si presenta in Parlamento per la fiducia.

Aprile 1993. Dal giugno '92 alla guida del governo c'è Giuliano Amato. Siamo in piena Tangentopoli. Anche i ministri sono colpiti dalle inchieste giudiziarie. Amato capisce che il "ciclo vitale" del suo governo è esaurito già a inizio '93 e offre le dimissioni a Scalfaro, il quale, però, le congela perché incombe il referendum del 18 aprile sull'abolizione della quota proporzionale al sistema elettorale del Senato. Amato si dimette il 21 aprile, il 26 il governatore uscente di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi presenta la lista dei ministri, il 12 maggio ottiene dalle camere la fiducia (ma non quella dell'Msi di Fini).

Nel primo caso (governo Dini) occorre circa un mese. Nel secondo (governo di transizione Ciampi) molto di meno, ma va ricordato che il sistema dei partiti era praticamente liquefatto. Pilotata o no, una crisi è comunque sempre una crisi, non si risolve ad horas. E dal collo di bottiglia del 14 dicembre le previsioni ballano. Comprese quelle sul discorso di Berlusconi, di cui nessuno parla, che potrebbe spostare in avanti o indietro il pendolo dell'orologio.


Verso il 14 senza mediazioni e per ora senza un vincitore certo (di Stefano Folli)

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