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Commenti e Inchieste

Per favore: nucleare sì ma non «spaghetti»

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Questo articolo è stato pubblicato il 16 dicembre 2010 alle ore 07:44.

L'energia nucleare è di destra o di sinistra? Bel quesito. È sicuramente di sinistra se guardiamo alla robusta attenzione profusa a suo tempo dalla madre Russia. E forse di destra, o meglio di centrodestra, se guardiamo gli impegni del nostro governo in carica, che devono fare i conti con l'apparentemente granitica opposizione dei partiti di centrosinistra. Ci si provò 23 anni fa, nel 1987, ad ideologizzare le centrali nucleari.

Ci fu l'incidente di Chernobyl, da trasformare non in doveroso dibattito scientifico ma soprattutto, si ritenne, in propaganda. E fu, dal punto di vista di alcuni, un successo. I cittadini europei, con le consultazioni popolari, fecero una conta analoga. Nel computo ci misero la tara delle emozioni e delle paure, ma anche una consapevole maturità scientifica. Ci aggiunsero il doveroso setaccio della politica energetica, che può dirsi tale solo se capace di guardare avanti.

Noi chiudemmo di punto in bianco le nostre ottime (lo dicevano i certificatori internazionali) centrali. Pagando profumatamente, ieri e ancora oggi, in duplice forma: per l'onerosissimo smantellamento di quegli impianti (dai 20 ai 30 miliardi di euro, a seconda dei parametri maneggiati dagli analisti) e per la rinuncia di un'energia prodotta da strutture già in opera, già a break even, appena ripagate degli investimenti.

Cominciammo ad andare a olio combustibile e a gas, poi praticamente a tutto gas. Che importiamo quasi per intero e di cui siamo praticamente monodipendenti. Con tutti i rischi e le incognite, di prezzo e di approvvigionamento, che ciò comporta. Ieri l'ennesimo segnale dello sconquasso. Il nostro saldo commerciale dei primi nove del'anno è in passivo per oltre 20 miliardi. L'import energetico ci salassa per una quarantina di miliardi. Con una quota "fisiologica" di nucleare forse la bolletta elettrica degli italiani scenderebbe, o forse no: gli investimenti per il nuovo nucleare sono massicci e nel tempo sono destinati comunque a pesare. Ma il gioco potrebbe magari valere, insieme all'affrancamento dalla pericolosa monodipendenza, un ben più favorevole saldo commerciale, ora trainato in negativo dall'energia. Per il paese sarebbe ossigeno puro.

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Imprese «in coda» per l'atomo. Marcegaglia: «Grande opportunità ma ora basta ritardi e bizantinismi»

ROMA - Convinti, mobilitati, impegnati e pieni di speranze. Ma, a maggior ragione, un po' esausti

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Per non parlare dell'ossigeno garantito alle nostra industrie da un sfida che non porta solo gli affari di oggi ma anche, di più, gli affari di un domani legato ad una tecnologia di cui il mondo non potrà e non vorrà fare a meno. Arma ideologica, certo, per un'opposizione politica che a guardar bene avrebbe ben altro nell'armamentario del confronto. Basterebbe dar forza, ad esempio, all'anima più pragmatica e meno tecno-riottosa di un Bersani una volta assai meno maldisposto verso l'atomo elettrico. E come lui ce ne sono tanti. Una pragmatismo della ragione che metterebbe ben più efficacemente a nudo le contraddizioni, i dubbi, le incertezze con cui il nostro governo sta comunque rallentando il promesso "rinascimento nucleare", un po' per incapacità di maneggiare una macchina complessa e un po' per l'indubbia difficoltà di chi subisce un assedio a colpi di quotidiana propaganda.
Atomo da maneggiare con cura, atomo da scandagliare nelle sue effettive virtù economiche. Atomo, innanzitutto, da de-ideologizzare. Qui la scienza può fare davvero poco.

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