Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 16 dicembre 2010 alle ore 07:45.
ROMA - Convinti, mobilitati, impegnati e pieni di speranze. Ma, a maggior ragione, un po' esausti dell'attesa. Il nostro piano per il rinascimento nucleare? «Non può più permettersi bizantinismi e ritardi. È ora di passare alla fase operativa» ammonisce direttamente Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria.
La platea è quella del "Supply Chain Day", la grande riunione conclusiva con le quasi 600 imprese che hanno iniziato ad allenarsi per la sfida nucleare confrontandosi prima sul territorio (5 tappe a Torino, Milano, Brescia, Venezia e Bologna) e poi, ieri, direttamente a Roma. Hanno raccolto le forze. Nelle costruzioni, nell'ingegneria di sistema, nell'elettronica. Per scoprire che il "made in Italy" anche qui non è secondo a nessuno.
Ed eccole pronte a consorziarsi e a partrecipare al primo salto in avanti. Quello delle prequalifiche. Il Governo ha dato il via oltre un anno fa con la legge "sviluppo" che imbastiva il percorso operativo: agenzia per la sicurezza, nuova strategia energetica, piano nucleare dettagliato. Ad oggi un'unica certezza: un evidente ritardo su tutto.
Solo oggi la conferenza Stato-Regioni dovrebbe esaminare una delle delibere Cipe cruciali per il percorso, quella che fissa i criteri per omologare le tecnologie. Lo farà dividendo il tempo e le attenzioni con un altro provvedimento cruciale della nostra politica energetica: lo schema di decreto legislativo che riforma gli incentivi per le energie rinnovabili che il Consiglio dei ministri ha varato solo in fase preliminare.
Sull'atomo «le imprese sono pronte a investire, ma hanno bisogno di certezze e per questo chiediamo alla politica segnali chiari. Vogliamo i fatti» incalza Emma Marcegaglia dinanzi agli imprenditori che vorrebbero affacciarsi al nuovo nucleare.
Il primo di questi fatti? L'insediamento e l'operatività dell'Agenzia per la sicurezza. «Di prioritaria importanza per il successo del programma» ammonisce Fulvio Conti, a.d. Enel, che ricorda come la nostra smobilitazione dall'atomo con il referendum del 1987 ci è costata globalmemnte (valuta l'osservatorio sui "costi del non fare") ben 45 miliardi.
Per il rilancio l'Enel si è già pesantemente "compromessa". La sua joint con il colosso nucleare francese Edf vale quattro reattori italiani Epr da 1.600 megawatt ognuno, ovvero il 50% del programma messo in campo dal governo, per 18-20 miliardi di euro di investimenti. La metà almeno per l'Enel. Con ricadute che se ben gestire andranno per almeno i due terzi alle imprese italiane.