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Questo articolo è stato pubblicato il 16 dicembre 2010 alle ore 07:44.
Dal concerto polifonico delle relazioni industriali e sociali al duetto in azienda - e chi ci sta ci sta - tra imprenditori e sindacati. La transizione Fiat segna un cambiamento radicale per l'intero paese?
Destino vuole che nel 2010 del centenario di Confindustria, l'assoluta maggior parte del quale trascorso sotto l'impronta di Fiat, l'anno si chiuda con la svolta di Sergio Marchionne che, in vista del contratto per l'auto proposto dal presidente Emma Marcegaglia, tiene (temporaneamente) fuori da Confindustria la newco con Chrysler per Mirafiori.
Il che fa comunque dire che un'epoca s'è chiusa, e che un'altra si apre. Da un parte c'è chi ci legge la destrutturazione delle regole e la vittoria del "padrone" globale che indossa il maglioncino blu. Dall'altra chi prospetta lo sbriciolamento del vecchio ed elefantiaco contrattualismo all'italiana e un salutare riassetto dei poteri. In nome della lezione americana, dove l'innovazione e la capacità di competere sul mercato impediscono ogni stratificazione conservativa. Tanto da far dire a Paolo Mieli al Foglio che «ciò che è bene per la Chrysler è bene per l'Italia».
Nella sua storia la Fiat ha però presentato molte facce. A partire dal volto della modernizzazione del paese come importatrice, non solo industriale di massa, dell'americanismo. Lo ha scritto Ernesto Galli della Loggia in occasione del centenario del 1999: l'impresa più rappresentativa del capitalismo italiano si è sforzata di incarnare un modello americano per il quale democrazia «vuol dire estraneità agli assetti e agli usi castali, interesse per ciò che è comune, utile, facile, attrazione per tutto ciò che apre la via al cambiamento, tendenza all'internazionalismo».
Sotto questo profilo, Sergio Marchione, dal 2004 al timone del Lingotto, è espressione della storia "americana" dell'azienda torinese, impersonata, dal 1966 fino alla sua scomparsa nel 2003, dallo stesso Gianni Agnelli, per il quale gli Stati Uniti sono sempre stati un ancoraggio importante. Una storia che si riflette anche negli strappi per "cambiare": come quello del 1980, gestito da Cesare Romiti, che portò alla marcia dei quarantamila.
Lo stesso accordo - nel 1966, in piena Guerra Fredda - con il governo sovietico per la costruzione dello stabilimento del Volga è preparato da Vittorio Valletta con il fermo proposito di non andare contro gli interessi americani. Con i sovietici interessati (lo dimostrano le ricerche di Valentina Fava dell'università di Helsinki, di cui è in arrivo all'inizio del 2011 per Marsilio il libro Grandi imprese e guerra fredda, le attività della Fiat in Urss dal 1962 al 1980) proprio alle macchine automatiche made in Usa di Mirafiori. Fu tramite Fiat che, per la prima volta, macchinari americani arrivarono in Urss.