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Questo articolo è stato pubblicato il 23 dicembre 2010 alle ore 08:07.
La grandeur francese ha da sempre un chiodo fisso: la riforma del sistema monetario internazionale. Non sorprende quindi che il tema sia stato rilanciato dal presidente francese Nicolas Sarkozy all'inizio del suo turno alla guida del G-20, che occuperà l'intero 2011. Nelle intenzioni di Parigi, riforma del sistema finanziario internazionale significa ridimensionamento del dominio del dollaro e il suo affiancamento, da pari a pari, da parte dell'euro. La crisi della moneta unica, probabilmente destinata a trascinarsi a lungo, può invece far sì che nei prossimi 12 mesi l'evoluzione più interessante del sistema monetario sia l'internazionalizzazione dello yuan cinese.
La Cina ha risposto con un muro contro muro, come sempre quando è sottoposta a pressioni esterne, alle richieste da parte americana di rivalutare più rapidamente il cambio. Dall'allentamento del legame con il dollaro, l'estate scorsa, lo yuan è risalito appena del 2,5% e Pechino continua a tenere strette le redini sui movimenti di cambio. E anche la proposta del segretario al Tesoro Usa, Tim Geithner, di affrontare il problema in altro modo, mettendo un tetto al surplus cinese dei conti con l'estero, ha trovato l'opposizione netta dei rappresentanti di Pechino alle riunioni coreane del G-20, in autunno.
Qualcosa però si sta muovendo, seppure con il gradualismo tipico delle autorità cinesi, tanto che in Cina qualcuno parla di un futuro confronto fra "redback" e "greenback", le espressioni gergali con cui vengono definiti rispettivamente lo yuan e il dollaro. Il primo obiettivo di Pechino è quello di utilizzare la propria valuta per una quota crescente degli scambi con l'estero: potenzialmente una decisione di enormi conseguenze, considerato che il colosso asiatico è oggi la seconda economia del mondo e il primo esportatore. L'interlocutore privilegiato non sono i paesi avanzati, ma quelli emergenti che rappresentano ormai quasi il 55% del commercio estero cinese. Nel giro di 3-5 anni, secondo Qu Hongbin, capoeconomista della banca Hsbc a Hong Kong, almeno la metà degli scambi della Cina con le economie emergenti sarà regolata in yuan: si tratta di quasi 2mila miliardi di dollari l'anno, che farebbero della valuta cinese la terza moneta di scambio nel mondo.