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Questo articolo è stato pubblicato il 28 dicembre 2010 alle ore 09:14.
L'ultima modifica è del 28 dicembre 2010 alle ore 10:18.
La rivista Time dedica ogni dicembre una sua copertina alla "persona dell'anno". Come la cerimonia degli Oscar ha la sua contro-celebrazione, i Razzies awards, che premia i peggiori 10 film della stagione, così sembra giusto, se non puntare il dito contro qualcuno in carne e ossa, almeno identificare le idee più dannose che hanno solcato l'Italia nel 2010, alcune delle quali hanno già cominciato a sortire effetti nefasti. Ecco le quattro semifinaliste.
1)C'è chi dice no. Questo è il motivo ispiratore della Cgil, che di rifiuto in rifiuto si trova in un vicolo cieco. Al più grande sindacato italiano non va bene niente: no all'accordo di Mirafiori; no a quello di Pomigliano; no al cosiddetto "collegato lavoro"; no alla manovra finanziaria; no all'innalzamento dell'età pensionabile; no storico all'abolizione dell'articolo 18 e al lavoro interinale; nemmeno il federalismo le piace. E la risposta è sempre la stessa, tribunali e "mobilitazioni" senza proposte alternative, come d'altronde ha recentemente denunciato in un'intervista un esponente dell'ala riformista della Confederazione, Fausto Durante. Anzi, per la verità qualche idea il sindacato fondato da Di Vittorio la tira fuori: una bella patrimoniale per esempio, o sgravi fiscali solo per dipendenti e pensionati in quanto gli autonomi scontano evidentemente un peccato originale più grave della mela di Adamo. Oppure la stabilizzazione dei precari, qualsiasi cosa ciò significhi, e ovviamente spese pubbliche a go-go, dal cinema agli ammortizzatori sociali. Completamente rimossa è l'idea che la rigidità del mercato del lavoro sia un problema in Italia. Il glorioso sindacato mi ricorda i partiti della Prima repubblica i quali, mentre stava scricchiolando tutto, continuavano a sgovernare come nulla fosse, finché Bossi e Borrelli li hanno fatti crollare di schianto. La storia non si ripete e quindi al posto di toga e canotta questa volta potrebbe essere un maglione blu a condannare all'irrilevanza la Cgil.
2)Tassa che ti passa. In linea con la precedente semifinalista, c'è chi ha proposto questa originale idea per decurtare il debito pubblico: un'imposta patrimoniale da 600 miliardi per riportare il rapporto debito/Pil dall'attuale 117% all'80 per cento. E dove li recuperiamo questi soldi? Con una stangata di 30mila euro per il terzo d'italiani "più ricchi", magari da dilazionare in due anni. Come mai nessuno ci aveva pensato prima? Forse perché non si può fare. Le entrate dello stato nei due anni di borseggio passerebbero dal 47 al 67% (neanche a Cuba, ormai) del Pil. I 20 milioni d'italiani "danarosi" rappresentano in realtà il 65% di chi è soggetto all'Irpef tra i quali quelli che guadagnano più di 75mila euro l'anno (i veri benestanti, non ricchi) sono l'1,6% del totale e non arrivano a 700mila. Chi investirebbe o consumerebbe più in Italia? Quale partito politico ha proposto una cosa simile e può sentirsi legittimato ad attuarla? Che contenzioso fiscale ne scaturirebbe? Se le spese dello stato-idrovora non aumentassero in termini assoluti per cinque anni, il rapporto spesa pubblica/Pil passerebbe (con una crescita dell'1,5% e un'inflazione del 2% l'anno) dal 52 al 44%: questa sarebbe una riforma, non la stangata suicida.