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Questo articolo è stato pubblicato il 25 gennaio 2011 alle ore 08:26.
Negli ultimi anni la contrattazione collettiva nazionale ha perso terreno nei confronti della contrattazione a livello aziendale, anche nei paesi a tradizione socialdemocratica, come la Germania e la Svezia. Questo processo deriva dalla necessità di aumentare la produttività e resistere alla concorrenza internazionale. Gli accordi aziendali consentono di realizzare le ristrutturazioni necessarie a tenere il passo con il progresso tecnico, dal quale dipende l'occupazione e la dinamica salariale.
Non c'è dubbio, però, che questa tendenza costituisce una sfida importante per il sindacato, che potrebbe ulteriormente perdere rappresentatività e potere negoziale. Ogni paese adotta un proprio sistema per risolvere il conflitto tra capitale e lavoro, sia all'interno dell'impresa che sul mercato. Nei paesi anglosassoni le scelte aziendali sono meno condizionate dalla legislazione e dalla pressione politica e sindacale. Il lavoro viene protetto soprattutto dal sistema fiscale (salario minimo, ammortizzatori sociali). Viceversa, in Italia e nell'Europa continentale, il lavoro è protetto anche all'interno dell'impresa, con vincoli contrattuali, pressione politica o meccanismi di controllo che limitano la discrezionalità del management.
Come cambierà il potere contrattuale di lavoro e capitale in un'economia in cui le scelte organizzative e salariali saranno sempre più decentrate? Come cambierà la dinamica degli investimenti e la dimensione delle imprese? Per rispondere a queste domande può essere utile partire dalla premessa che, nel corso delle negoziazioni tra imprese e sindacati, il potere contrattuale delle due parti in gioco non è costante. Un primo stadio della negoziazione è precedente allo stanziamento degli investimenti. In questo "momento" il denaro degli investitori non si è ancora trasformato in macchinari o impianti.
Poiché il lavoro è poco mobile e il capitale può migrare alla ricerca delle condizioni migliori in giro per il mondo, l'impresa ha molto potere contrattuale. Questo punto di vista è quello adottato dalla Fiom quando ha sostenuto che i lavoratori di Mirafiori chiamati a scegliere se accettare il nuovo contratto «erano sotto ricatto», perché il rifiuto avrebbe determinato la chiusura dell'impianto. Tuttavia, la contrattazione non finisce nel momento in cui l'investimento viene deciso.