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Questo articolo è stato pubblicato il 18 febbraio 2011 alle ore 08:30.
L'ultima modifica è del 18 febbraio 2011 alle ore 07:38.
Le donne nei Cda? Sì, ma non per legge. Anche se è impossibile non vedere che misure a sostegno delle carriere femminili debbano comunque essere adottate. Tuttavia, come ho sempre affermato anche in tempi non sospetti, per chi come me ha costruito da sola la carriera e che tutti i giorni ha occasione di confrontarsi con tante altre professioniste preparatissime, è veramente difficile accettare che questo obiettivo debba essere conquistato per legge.
Sono una spinta al talento (di Monica D'Ascenzo)
Riconosco che lo sforzo e il lavoro fatto da chi ha portato avanti questa proposta di legge è meritorio, e ritengo anche che non si possa accettare che questo venga vanificato per assecondare le pressioni di chi oggi teme di perdere il proprio posto e potere. Tuttavia penso che la leadership femminile culturale e manageriale non possa realmente essere imposta. Tutte le indagini e le ricerche degli ultimi anni evidenziano un tasso di scolarizzazione delle femmine più alto rispetto a quello dei maschi: le donne si laureano di più, meglio e in minor tempo. Non serve una legge ma un sistema che ci permetta di esprimerci totalmente.
A questo aggiungo che Paesi considerati più "evoluti" nella tutela del lavoro femminile, come quelli scandinavi dove le quote rosa sono in vigore da anni, si sono poi trovate a fare i conti con le inevitabili storpiature generate da queste misure fino a dover paradossalmente arrivare a prendere in considerazione "contro politiche" per non discriminare gli uomini. La distinzione di genere non può essere ostacolo ai principi di meritocrazia che devono invece essere parte di un pensiero culturale e manageriale diffuso che oggi, evidentemente, manca nel privato e ancor di più nel pubblico.
Una mancanza questa che certo non risparmia gli uomini ma colpisce maggiormente il genere femminile reso più debole anche da un sistema di servizi sociali troppo carente rispetto ai bisogni della donna impegnata nel lavoro. Per questo non va dimenticato che il problema è molto più ampio del numero di donne che arrivano nei Cda; il problema è quanto e come si può ampliare e rafforzare la spinta dal basso a salire, per incrementare il numero di potenziali candidate per posizioni di vertice. In questo senso le donne vanno sostenute socialmente per poter coniugare i propri molteplici ruoli e non è certo accettabile che ancora oggi in Italia il sistema permetta di assorbire negli asili pubblici un numero molto basso di bambini. Questo porta a delle scelte che inevitabilmente nelle famiglie tendono a penalizzare le madri proprio in quella fascia di età in cui un professionista, uomo o donna che sia, costruisce le basi della propria carriera.