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Questo articolo è stato pubblicato il 29 febbraio 2012 alle ore 09:15.
L'ultima modifica è del 29 febbraio 2012 alle ore 09:17.

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«Attenzione, però – avverte Stefano Baia Curioni, direttore della laurea specialistica in economia dell'arte e la cultura alla Bocconi – che la comparazione spesa/Pil non dice tutto. Bisogna anche considerare le dimensioni del nostro patrimonio e la sua diffusione sul territorio. Ma soprattutto, va tenuto conto di come quelle risorse vengono spese. Problema che si porrà tanto più ora, in un momento di tagli: non c'è, infatti, da pensare che laddove il pubblico arretra, possano sopperire i privati, perché è dimostrato che il privato investe dove il pubblico è forte».

Dunque, come fare in modo che l'industria della cultura continui a crescere? E ancora prima, si può veramente parlare di industria della cultura? «Sì – risponde Baia Curioni – ma a patto che si esca dagli slogan e si abbia consapevolezza dell'articolazione del settore e della complessità delle misure che occorrono per rilanciarlo. Perché è indubbio che esistono grandi margini di miglioramento. Occorre, però, creare le condizioni strutturali perché l'investimento dia risultati. Bisogna intervenire sulla spesa del ministero, gravato da un contingente enorme di personale poco qualificato, perché negli anni scorsi sono stati imbarcati soprattutto custodi e addetti amministrativi. Si tratta, per esempio, di riqualificarlo e Civit (la commissione indipendente per l'efficienza delle pubbliche amministrazioni, ndr) sta lavorando in questo senso. A livello locale occorre poi creare agende di politiche culturali condivise, senza l'attuale spezzatino tra comuni, province e regioni. Bisogna, infine, ripensare il rapporto tra pubblico e privato, perché il modello attuato nella gestione dei servizi aggiuntivi dei musei si è dimostrato fallimentare».

Fattori su cui si concentra anche l'analisi di Bruno Zambardino, responsabile del settore cinema e cultura della fondazione Rosselli: «La spesa del ministero – sottolinea – è in gran parte destinata al personale e con quel poco che viene destinato agli investimenti si punta a sovvenzionare l'offerta. A differenza di quanto accade in alcune realtà locali, dove si cerca di sostenere la domanda, così da innescare un effetto a catena. Eppoi, c'è il discorso del mecenatismo, qui da noi per nulla diffuso. Si dovrebbe favorire il contributo del singolo cittadino, incentivandolo non solo con la defiscalizzazione ma anche con procedure burocratiche snelle, che lo rendano effettivamente praticabile».

Il Manifesto
Sul Sole 24 Ore Domenica del 19 febbraio è stato presentato il Manifesto «Per una costituente della cultura».

I cinque punti
Una costituente per la cultura; strategie di lungo periodo; cooperazione tra i ministeri; l'arte a scuola e la cultura scientifica; sgravi ed equità fiscale collaborazione pubblico-privato

Le adesioni
Molte le adesioni raccolte fra personalità illustri: tra gli altri, Andrea Carandini, Maurizio Pollini, Daniel Barenboim, Sergio Escobar, Claudio Abbado, Stephane Lissner, Salvatore Settis, Remo Bodei, Carlo Fuortes, Giorgio Parisi,Franco Cardini, Lluis Pasqual, John Banville, Dacia Maraini, Lorenzo Bini Smaghi, Ernesto Ferrero, Toni Servillo.

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