Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 25 maggio 2013 alle ore 08:36.
L'ultima modifica è del 25 maggio 2013 alle ore 11:51.

My24

A Basilea, qualcuno aveva capito. La Banca dei regolamenti internazionali, come spesso fa, aveva appena ricordato i rischi delle politiche ultraespansive. Uno di essi riguarda i mercati: «Lo stimolo monetario - ha spiegato a Londra il 16 maggio il direttore generale Jaime Caruana - può riversarsi sulle quotazioni finanziarie (asset prices) e sull'indebitamento delle imprese (leverage) prima di influenzare i prezzi di beni e servizi». L'effetto, si può aggiungere, è quasi immediato; mentre gli squilibri finanziari possono accumularsi e manifestarsi anche oltre i due anni presi come riferimento dalle banche centrali: si pensi alla crisi immobiliare del 2007.
Un secondo rischio riguarda la globalizzazione: quel che viene deciso a Washington può avere effetti altrove, e viceversa. Forse non direttamente a Tokyo, o a Francoforte (come alcune ricerche, quelle promosse dal Nber di Washington per esempio, mostrano); ma a Pechino, a San Paolo, in altri Paesi emergenti; i quali a loro volta possono però reagire con ripercussioni che tornano indietro «come un boomerang», spesso attraverso i mercati finanziari. «In un mondo altamente globalizzato - ha detto il direttore della Bri - tenere in ordine la propria casa sicuramente non basta».
Le parole di Caruana permettono di capire cosa stia accadendo. Se c'è un momento - ma ce ne sono molti - in cui i mercati finanziari non riflettono l'economia reale e seguono un ciclo proprio, questo è uno di quelli. Non c'è nesso, per esempio, tra la sorpresa positiva dell'indice Ifo di ieri e il ribasso della Borsa di Francoforte...

È la politica monetaria - "le" politiche monetarie - a gonfiare o sgonfiare le quotazioni, e questo è un rischio che i banchieri centrali conoscono, si assumono, e nei limiti del possibile calcolano. I prezzi riflettono allora innanzitutto le aspettative degli investitori, non necessariamente corrette, sull'andamento di quello che è un intervento pubblico sull'economia; e solo in seconda battuta registrano le attese sui suoi previsti o sperati effetti. Il rialzo del 85% che la Borsa di Tokyo ha registrato dal 13 novembre, e il successivo ribasso (dal massimo dell'altro ieri al minimo di ieri) del 12,3% dicono molto poco su cosa farà l'economia giapponese, che oggi dipende così tanto da quella cinese e quindi dalla nuova strategia di Pechino a favore della domanda interna. E la volatilità che è sembrata propagarsi da Tokyo all'Europa (lambendo solo gli Usa) dice poco sull'economia globale. È solo il segno di quanto sia stata eccessiva la reazione della Borsa alla politica economica di Abe, di come le scommesse degli investitori fossero diventate "a senso unico" - prevedevano solo il rialzo - trasformando così anche un piccolo inatteso ribasso, scattato su un pretesto giunto dall'estero, in una valanga.
È un problema: per la Nippon Genko e il suo governatore Haruhiko Kuroda, ma anche per la Fed e Ben Bernanke che prima o poi - forse l'anno prossimo - dovranno ridurre gli acquisti di bond senza dar l'idea di iniziare una stretta. È un problema inoltre un po' per tutti i banchieri centrali: avevano giustamente messo in secondo piano il tema dell'inflazione finanziaria, che ora rischia però di riemergere bruscamente.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi

301 Moved Permanently

Moved Permanently

The document has moved here.