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Questo articolo è stato pubblicato il 05 luglio 2014 alle ore 08:25.
L'ultima modifica è del 05 luglio 2014 alle ore 09:40.
Un dettaglio non insignificante è che l'ex azionista che aveva reclamato diritti su Malabu era il figlio del più grande cleptocrate della storia nigeriana, il generale Sabi Abacha, che era presidente quando Etete, da Ministro del petrolio, si era auto-assegnato la concessione Opl-245.
Ma fin quando non è emerso il claim di Abacha Junior, dirigenti Eni avevano dato prova di essere pronti sia a pagare Malabu sia a negoziare con l'intermediario Obi nonostante le criticità rilevate. Per esempio, quando un funzionario aveva fatto notare che la richiesta di Malabu di pagare su un conto "non necessariamente in Nigeria" cozzava con "il codice etico/mod 231", in base al quale "i pagamenti non potranno in alcun modo essere effettuati… in un Paese terzo diverso da quello delle parti", la responsabile per i contratti internazionali Donatella Renco aveva risposto che "i vincoli sul Paese di pagamento previsti dal codice etico sono nella sezione relativa a 'fornitori e collaboratori esterni e ai rapporti di appalto, di approvvigionamento'. Non penso un'acquisizione di asset rientri in questa categoria".
E quando la Renco aveva notato che una versione dell'accordo che si stava negoziando riportava che "al momento non c'è alcuna licenza di sfruttamento valida sul blocco 245", la dirigente aveva commentato: "Non vedo necessità di scrivere che non c'è licenza. Si può stare silenti. Cosi evitiamo di dover pensare a cosa sono i non meglio precisati interest che ci vengono venduti".
Alla fine però, per via anche della pretesa di Abacha Junior è stata trovata la quadra con un accordo che prevedeva il pagamento da parte dell'Eni di un miliardo e 92 milioni di dollari su un conto del governo nigeriano con il successivo trasferimento di quell'intera cifra su conti controllati da Malabu, come si attestato dalla mail dell'11 gennaio 2011. La Shell avrebbe invece pagato altri 200 milioni circa di costo della licenza al governo e i due colossi petroliferi si sarebbero spartiti il campo offshore.
E così è stato. La spartizione dei soldi pagati è invece altra cosa: Etete ha avuto il suo miliardo e Obi ha 80 milioni in Svizzera. E Di Nardo? Una fetta di quegli 80 milioni di intermediazione - che il tribunale londinese ha stabilito esserci stata e quindi dover essere pagata - se l'è sicuramente guadagnata. Svariate email depositate a Londra dimostrano infatti che è stato coinvolto da Obi in tutti i momenti-chiave della trattativa tramite messaggi inviati a e da un indirizzo in codice - foxfin. Che i due operassero in tandem lo dimostrano i testi di quei messaggi: "Ecco (in allegato Ndr) la strategia e i prossimi passi per il progetto petrolifero… Tutto sembra Ok, ma continuerò a fare pressioni su Eni perché ufficializzi l'impegno. Una volta che otterremo quell'impegno, potremo cercare altri investitori. In questo modo potremo creare pressione competitiva sul prezzo… Abbiamo investito molto tempo in questa transazione e spero che le cose andranno avanti", scrive Obi. E Di Nardo risponde: "Direi che la nostra partnership stia performando piuttosto bene. Sono sinceramente contento del progresso fatto in questi mesi… nel frattempo io mi occuperò del numero 3". Come ha spiegato Bisignani ai magistrati, "il numero 3 è tale Casula, e cioè il responsabile per la Nigeria dell'Eni". Per questo adesso la Procura di Milano lo ha iscritto nel registro degli indagati.
Aggiornamento del 25 settembre 2023: Il dott. Roberto Casula è stato assolto con sentenza passata in giudicato nel processo c.d. OLP 245 e la sua posizione è stata archiviata per quel che riguarda il reato di corruzione internazionale per la c.d. vicenda congolese
cgatti@ilsole24ore.usPermalink
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