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Cultura-Domenica Arte

Oltre uomo

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Questo articolo è stato pubblicato il 16 giugno 2010 alle ore 16:13.

Il curriculum gonfio di primati e un (breve) passato da consulente della Cia, Nick Bostrom è un filosofo molto speciale. Della galassia di studiosi, guru e tecnofili che insegue il progetto di varcare i confini dell'umano, ha la fama di padre putativo. Fu lui, nel 1998, a fondare con un manipolo di colleghi la World Transhumanist Association. Lo scorso anno, invece, la rivista Foreign Policy l'ha inserito tra i cento pensatori più influenti del pianeta.
Scrive Borges nell'Aleph che «la morte rende preziosi e patetici gli uomini» perché «tutto, tra i mortali, ha il valore dell'irrecuperabile e del casuale». L'ideologo del Transumanesimo non la pensa così: «L'imperfezione — si legge nella sua Lettera da Utopia — è la misura del nostro amore per le cose come sono. Il coraggio è la monarchia del sé. La morte è la nostra colpa per non aver creato al più presto Utopia».


Da quando è approdato all'Università di Oxford, il sedicente utopista dirige il Future of Humanity Institute, osservatorio puntato su un futuro vertiginoso, plasmato da genetica, tecnologia e nanoscienze. Visto da qui, esso appare con i tratti del destino. In dipartimento, dove lavora con un team giovanissimo, custodisce una sua piccola opera d'arte: un collage che raffigura un fungo grigio, il primo test termonucleare britannico. Sfidando il freddo di una serata inglese, accetta di conversare con IL ai piedi del Christchurch College, indosso sciarpa, sorriso e un paio di guanti di pelle. Sotto le mura dorate dove studiarono tredici futuri premier di Sua Maestà, la domanda non è tanto se vorremo essere transumani, ma quanto lo stiamo già diventando.

Bostrom, in uno dei suoi libri lei si è chiesto: "Siamo noi abbastanza buoni? E come possiamo migliorarci?". A cosa allude?
«Credo che la questione non sia se siamo abbastanza buoni, ma se ci siano strade per diventare migliori. Dobbiamo essere felici delle opportunità che ci offre il presente per estendere il nostro stile di vita salutare, e saperle cogliere. Così con altre capacità umane come la memoria e l'attenzione».

Francis Fukuyama anni fa bollò quella transumanista come l'idea più pericolosa per l'umanità. Come risponde?
«Credo piuttosto che pericoloso sia discriminare chi coltiva questo progetto, conferendogli un minore status morale. Una risposta più costruttiva potrebbe essere distinguere i diversi tipi di "accrescimento". Ritengo che nel futuro immediato vedremo solo miglioramenti incrementali, ad esempio sostanze che aumentano la memoria di circa il 20%. E nonostante tutte le biotecnologie in evoluzione, è probabile che quando avranno raggiunto la maturità ci saranno altri strumenti di trasformazione radicale del mondo, come l'intelligenza artificiale».

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Una cosa è cambiare la natura, una cosa l'uomo. C'è chi vi imputa un'oscura aspirazione prometeica.
«È difficile condividere questo argomento perché così tanti aspetti dell'attività umana sono consistiti nel prendere ciò che è dato e riplasmarlo. Noi vestiamo abiti, viviamo in appartamenti, sediamo di fronte a un computer. Non è un modo prettamente naturale di essere. Certo, se pensiamo a cambiamenti più radicali credo che alcuni di essi possano essere molto pericolosi e debbano essere avvicinati con grande cautela».

Esiste una crescente frattura tra i fautori di queste trasformazioni e chi vi si oppone?
«Nei primi anni del secolo è stato interessante osservare in America la crescita del bioconservatorismo dentro il Consiglio di Bioetica guidato da Leon Kass (un umanista fiero avversario di ingegneria genetica e clonazione, ndr) durante la presidenza Bush. Fu supportato a destra da gruppi religiosi e a sinistra da ambientalisti e anti-globalisti. Ora la mia sensazione è che almeno negli Usa e in Gran Bretagna vi sia un certo grado di accettazione di queste prospettive. Sostanze come il Ritalin e il Modafinil sono usate da studenti di Università come Princeton per incrementare le capacità di concentrazione».

Scusi, ma che vuol dire?
«Ho letto stime che valutano questi consumatori intorno al venti per cento. Al riguardo resto un po' scettico, e in molti casi l'effetto potrebbe essere quello di una tazza di caffè. Il fatto è che occorre personalizzare anche la medicina».

Pensa che la società sia pronta a valutare queste prospettive?
«L'umanità non è brava ad affrontare questioni generali. Ho scritto un saggio sui rischi catastrofici che corriamo e mi ha sorpreso scoprire che ci sono più studi sulla riproduzione dello scarabeo stercorario che sull'estinzione della specie umana. È molto triste che la cosa che importa di più sia quella a cui pensiamo di meno».

A che tipo di rischi fa riferimento?
«Uno estremamente improbabile potrebbe essere la collisione con un asteroide. Ma tutti i più grandi rischi dal mio punto di vista, ora e ancor più in futuro, potranno derivare da attività umane. Pensiamo all'uso di nanotecnologie per creare armi di distruzione di massa».

Tornando al transumanismo, non c'è dietro il progetto di un uomo di plastica, senza bontà, senza dolore, senza mistero, in definitiva disumano? La nostra bellezza non sta anche nell'esperienza del limite?
«Penso che ci sia un rischio di diventare più superficiali, e in certi termini si può sostenere che già con la civiltà moderna si sia diffuso il materialismo. Questa tendenza potrebbe accentuarsi».

Una buona ragione per fermarsi.
«Certo è una ragione per riflettere. Tuttavia la questione è difficile, quanta miseria e sofferenza umana vogliamo tenere. Prendiamo la grande arte di Mozart e Van Gogh. Questo giustifica l'immensa dose di sofferenza, problemi mentali e la loro morte prematura? Mi sentirei molto a disagio a emettere un giudizio».

Tra i vostri interessi spicca la bioetica. Quali scenari immagina al riguardo?
«Che le tecniche di sequenziazione del genoma diventino più economiche. E così la fecondazione in vitro. Sarebbe possibile scegliere l'embrione con le migliori probabilità di vita».

Come chiamarla se non eugenetica? Un bioeticista di Oxford con cui lei collabora, Julian Savulescu, ha affermato che i genitori «hanno l'obbligo morale di selezionare i figli migliori».
«In questo contesto il professor Savulescu intende le migliori chance. Supponiamo che ci sia un gene che predispone all'asma. Se lei può selezionare un embrione che lo possiede e uno che ne è privo, in base al suo principio ha il dovere di scegliere il secondo. Una scelta demandata ai genitori, non imposta dallo Stato-Leviatano come nell'eugenetica basata su tesi razziste, ormai riconosciute sotto molti aspetti come false».

Ci parli un po' di lei. Potendo, come vorrebbe migliorarsi?
«Ovviamente i miglioramenti cognitivi sarebbero importanti, dato il mio lavoro. In generale, credo che una lunga aspettativa di vita in salute sia ciò a cui molti terrebbero. La vita è un prerequisito per il resto. Mantenersi in vita e in salute è forse la prima priorità».

Quanto a lungo? Per quanto tempo?
«Per tutto il tempo in cui la vita è buona».

Il Papa dice che l'immortalità terrena sarebbe noiosa e in definitiva insopportabile.
«Anche la mortalità può essere noiosa e insopportabile. A mio avviso non dipende tanto da quanto vivi ma da cosa fai con la vita che hai».

Lei si dichiara agnostico. Ha paura della morte?
«Con gli anni si tende a pensarci più spesso. Tuttavia ho cominciato a interessarmi di transumanismo quando ero giovane. Non so se sia stata questa la molla, anche perché esistono persone ossessionate dalla morte che non sono transumanisti. In definitiva credo sia perfettamente ragionevole che se ci sono modi di rinviare o abolire questa rovina imminente, uno debba considerarli con particolare attenzione».

Tra gli scenari prefigurati, l'upload della mente su una macchina. Fantascienza?
«Molte delle cose immaginate dalla fantascienza si sono trasformate in realtà. Sembra qualcosa di fisicamente possibile, ma non realizzabile oggi. Avremmo bisogno di capacità sofisticatissime di scanning, microscopi, modelli neurocomputazionali».

È convinto che sarà la tecnica a salvarci?
«Penso che ci siano scenari che vanno dalla catastrofe totale ad altri letteralmente oltre ogni nostro sogno più strabiliante. Dipenderà da noi, probabilmente in questo secolo, quale dei due potrà realizzarsi».

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