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Cultura-Domenica Arte

Toy Story 3? Io l'ho visto in anteprima e vi spiego perché è un capolavoro per tecnologia e contenuti

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Questo articolo è stato pubblicato il 03 luglio 2010 alle ore 13:06.

La paura era tanta, inutile nasconderselo. Pensavamo che persino laPixar, dopo il geniale Toy Story e il suo sequel forse anche più bello, riuscisse lì dove persino sua maestà Francis Ford Coppola fallì, in un terzo capitolo all'altezza dei suoi capolavori precedenti. E invece «Toy Story 3 - La grande fuga» forse, è persino il più bello della saga, il più completo, adulto, coraggioso, emotivo ed emozionante. I primi due avevano il sapore pionieristico del genio all'assalto: Toy Story, nel 1995, ci fece scoprire la computer grafica e le sue potenzialità meravigliose nell'animazione, qualche anno dopo il secondo capitolo si aprì al digitale.

La sfida tecnologica. Tanto per rispettare la voglia di gettare il cuore oltre l'ostacolo, accettando ogni sfida della tecnologia, la Pixar a Toy Story 3 fa giocare la partita del 3D e dell'Imax, appena accennato nell'utilizzo plenoastico del primo in Up. Ma qui non si vuole stupire, i geniacci di (e con) John Lasseter sono entrati, dopo Wall-E, in uno stato di aurea maturità artistica e, «colonizzata» la Disney, anche economica. Un momento di svolta che verrà ricordato nella storia del cinema, perché se già prima questi eterni ragazzi non sbagliavano un colpo, ora sfornano solo capolavori.

Toy Story 3 è la summa di intuizioni passate e presenti della factory d'animazione, che ha saputo unire il meglio delle tradizioni dell'animazione più diverse e lontane, geograficamente e culturalmente, da Walt Disney a Miyazaki, a quella loro impostazione adulta che rivoluzionò il genere animato. Non più racconti per bambini con schemi ben precisi ed elementari, sia pure raffinatissimi, ma disegni animati che si fanno film, che giocano secondo le regole della «Serie A». Pescando nei grandi classici, citando con gusto, usando regia e montaggio con talento e rigore.

In Toy Story 3 c'è il terzo piccolo grande dramma, sempre legato all'abbandono e al cambiamento. Se nel primo capitolo il timore era l'essere sostituiti, con Woody il cowboy che temeva l'arrivo di un nuovo giocattolo e, nel secondo, «Toy Story 2 - Woody e Buzz alla riscossa», c'era il sequestro del protagonista e la sua ricerca, ora il tema è ancora più potente e definitivo. Andy, il bambino a cui appartengono Woody, Buzz Lightyear, Rex, i consorti Potatoes, Jessie e gli esilaranti piccoli alieni, deve partire per il college. I giocattoli sono chiusi in un baule a escogitare piani per suscitare, invano, la sua attenzione. Temono di finire nella spazzatura, sperano in una dignitosa, ma malinconica pensione in soffitta, finiscono per una serie di coincidenze in un asilo.

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Lo straordinario percorso artistico della Pixar. L'ultima tappa è Toy Story 3

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Toy Story 3 - La grande fuga

Tags Correlati: Arte | Buzz Lightyear | Claudia Gerini | Fabio De Luigi | Francis Ford Coppola | John Lasseter | Steve Jobs | Toy Story | Unkrich | Walt Disney

 

E qui il film prende il volo, dopo un inizio leggermente rallentato (complice anche il corto d'apertura, bonus che la Pixar offre sempre: pretenzioso e meno felice di altri), puntando pesante su riferimenti alti, su scelte forti, su piani di lettura e scrittura che cercano tutte le età. L'asilo, ad esempio, è l'inferno dei giocattoli: all'interno un orsetto di peluche viola, frustrato dal «tradimento» della sua bimba, Daisy, tiranneggia con subdola abilità, condannando i nuovi arrivati alle torture dei bambini più piccoli. L'asilo è una prigione, i bambini sono torturatori, ci sono ronde e un bambolotto che tanto ricorda icone horror che ci hanno impaurito da bambini (bambole, assassine e non, riempiono l'immaginario del genere).

Tante storie, dal clown triste alla sensibilità di Ken, prima kapo e poi liberatore - che duetti con Barbie! (ben resi dal doppiaggio di Fabio De Luigi e Claudia Gerini)- ci tengono incollati alla poltrona, ci commuovono per poi farci ridere subito dopo. E' sufficiente pensare al finale della grande fuga, scena madre di intensità clamorosa, chiusa con il coro «artiglio!» dei tre alieni, che scarica lo spettatore dalle lacrime, con una risata dolcissima. Unkrich, alla regia, è a capo del team dei primi due film, coinvolgendo Lasseter, Stanton e il compositore Newman (meravigliose le musiche, quelle originali e quelle di repertorio), e ha il coraggio di mettere insieme tante, per altri sarebbero state troppe, suggestioni. Dark e pop, giocoso e impegnato - Barbie, a un certo punto, si dà a un accenno di comizio politico - Toy story 3 stupisce sempre, anche quando fa comparire, negli ultimi minuti, Totoro, per omaggiare il maestro Miyazaki, tanto amato da Lasseter, che lo cita sempre come mito e ispirazione. Ma ci mette anche del suo, perché il gettare per sbaglio i giochi della propria infanzia, è un errore che lui ha fatto davvero.

La cura di ogni dettaglio è la solita, l'intensità emotiva e creativa del racconto non scema mai, dal bimbo di due anni all'uomo di 50 - l'abbiamo visto coi nostri occhi - si ride e si piange all'unisono. Steve Jobs - che per primo ha creduto in Lasseter e soci - disse che con Toy Story la Pixar trovò il suo Biancaneve e i Sette Nani. Ecco, Toy Story 3 sembra la conferma che questa magnifica fabbrica di idee e immaginario andrà ben oltre lo zio Walt. Se non l'ha già fatto.

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