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Questo articolo è stato pubblicato il 19 luglio 2010 alle ore 20:19.
Umbria Jazz 2010 va in archivio, ma c'è ancora qualche argomento di cui occuparsi. Scelgo quello della vocalità, molto rappresentata a Perugia e discussa sia per le presenze, sia per le assenze. Non mi addentro nella disputa, anzi lascio fuori di proposito qualche nome del cartellone che mi porterebbe lontano, e anticipo che parlerò, nell'ordine, soltanto di Nikki Yanofsky, di Randy Crawford e della favola bella di Roberta Gambarini. Nikki, canadese, ha soltanto sedici anni, è alta, carina e porta lunghi capelli neri sciolti.
Molti la ricordano perché ha avuto la fortuna di cantare in apertura e chiusura dei giochi olimpici invernali di Vancouver. Ha buona voce intonata, agile e ha senso del jazz. Ma andiamoci piano con certi paragoni (Norah Jones e addirittura Ella Fitzgerald) che hanno colpito con dolore le orecchie di chi se ne intende. Nikki non fa nulla per nascondere i suoi anni verdi e fa bene: saltella sul palco che affronta a piedi nudi, non ha timore di lanciarsi nel canto sillabato, è un po' incosciente quando interpreta temi gloriosi. Merita tanti auguri, poiché a quell'età la sua voce potrebbe cambiare, e inoltre lo showbusiness potrebbe cercare di orientarla «sul più redditizio versante della musica pop alla quale Nikki già strizza l'occhio in alcuni brani».
La frase virgolettata è dell'ottimo collega Ugo Sbisà, al quale la rubo per dimostrare che non sono il solo a pensarla così. La celebre Randy Crawford è finalmente approdata a Umbria Jazz. Ho auspicato per vari anni la sua partecipazione, da quando il festival è obbligato ad occuparsi non soltanto di jazz-jazz. Randy, fra gli "esterni", è una collaterale vicinissima, ma c'è il problema che bisogna attendere che sia in vari sensi disponibile, e questa volta è salita sul palco dell'Arena Santa Giuliana subito dopo Nikki. Non esistono paragoni. Randy ha voce matura, splendidamente black, e l'esperienza le insegna non soltanto di riuscire a far proprio qualsiasi tema, qualsiasi canzone, e di improvvisarci sopra quanto basta; ma soprattutto di saper smorzare il suono della voce fino al silenzio in modo che non esito a definire ineguagliabile.