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Cultura-Domenica Arte

La proposta di Gae Aulenti: «Salviamo la Torre Velasca dalla vendita. Usiamola per l'Expo»

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Questo articolo è stato pubblicato il 20 luglio 2010 alle ore 18:30.

Chi comprerà questo pezzo di storia di Milano (e non solo)? Cosa ne farà? Che l'edificio sia un emblema potente, non v'è dubbio. Il lavoro dei Bbpr (il gruppo di architetti nato nei primi anni Trenta, che comprendeva Banfi, Barbiano di Belgiojoso, Peressutti e Rogers) propugnava un ritorno al novecento floreale, brutalizzando il razionale e tendendo al gotico sublime. Un pop-medioevale che fonde Duomo e Castello Sforzesco per tramutarsi nel simbolo di questa Milano qua. Quella del Novecento, la Milano più potente della storia. Degna capitale verticale di tutta l'Europa meridionale.

Le famose contaminazioni, tanto care ai teorici della modernità più attuale, sbocciarono allora sotto forma di ambientalismo. E Gae Aulenti era lì, che si formava alla scuola di Nathan Rogers, colui che concepì la Torre, con tutto l'apparato teorico connesso. La abbiamo raggiunta nel suo studio milanese e le abbiamo chiesto di raccontarci passato, presente e futuro di questo edificio straordinario. L'annuncio della cessione da parte di Fondiaria, manco a dirlo, lascia subito la signora dell'architettura italiana atterrita: «La Torre in vendita? Ma perché? Questa notizia è una bomba!»

Ce ne illustra i motivi?
La Torre Velasca è un monumento nel senso proprio del termine. Alla luce di un'architettura con un'essenza forte, non solo di referenza storica ma anche di continuità storica. E anche di una veduta profetica verso il futuro. E allora, perché venderla?

Forse a causa del fatto che la funzione ha preso il sopravvento sulla forma. Siamo già arrivati a tanto?
Mentre lei mi ha richiamato sulle cose funzionali io la richiamo sulla forma. Allora era ancora più preciso che la forma derivasse dalla funzione. È sempre stata appartamenti e uffici. E, anche se a Milano si stanno costruendo migliaia di nuovi uffici e alloggi, qui siamo in presenza di un palazzo che appartiene alla storia dell'arte mondiale. Bisognerebbe indagare il perché la vendono. Quando il Pirelli fu venduto, lo comprò la Regione. E li aveva un senso. Ma la Velasca? Chi la comprerà? Il comune dovrebbe dichiararla monumento.

Il punto è che è la Torre deve essere adeguata alle nuove norme: è arrivato il momento di una sana e costosa manutenzione. E con l'Expo che incombe, a Milano l'attenzione è tutta concentrata sull'edificazione del futuro. Che fare?

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Tags Correlati: Arte | Bbpr | Gae Aulenti | La Torre | Nathan Rogers | Pirelli | Velasca

 

Credo che bisognerebbe stare molto attenti, poiché il futuro è ancorato al passato. E la torre ben rappresenta questo pensiero - oltre a rappresentare Milano, della quale ne illustra i tratti architettonici tradizionali, fondendoli nella modernità. Speriamo che il mondo colto dell'architettura si ribelli.

Nell'inserzione pubblicitaria di Fondiaria non si fa riferimento al vincolo delle Belle Arti che esisterebbe sulla Torre. Che significa? Qual è l'effettivo valore di tale vincolo? Cioè: quanto protegge le sorti della Torre?
Non ho dati precisi al riguardo. Però, a questo punto, mi sento di dover lanciare un appello per la Torre Velasca. Vincolarla sul serio e allontanare ogni pericolo di abbattimento.

Addirittura? E poi, una ristrutturazione totale e la destinazione d'uso "istituzionale" basterebbero per dire che la Torre è salva?
Intanto le ristrutturazioni – sia dell'esterno che degli interni - devono essere minuziose e quanto il più possibile fedeli; Poi: perché non usiamo la Torre per l'Expo? Dico, ad esempio: tagliamo uno dei grattacieli previsti e destiniamo le risorse per il restauro della Velasca. È una provocazione, ma può avere un senso in un'ottica di ripensare la grande occasione dell'Esposizione universale. Penso a un'Expo diffusa nella città. Il recupero del vecchio piuttosto che la costruzione del nuovo. La gente che si riappropria della Milano vera. Quella più antica, che è anche la più "moderna".

Che ne pensate?

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