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Questo articolo è stato pubblicato il 06 agosto 2010 alle ore 09:38.
C'è grande curiosità su questa edizione di Locarno, apertasi il 4 agosto e che si chiuderà il 14. Uno dei festival cinematografici storici, subito dietro Berlino, Venezia e Cannes per importanza, ha cambiato quest'anno direttore, scegliendo Olivier Père, arrivato da Cannes. Lo ha fatto in un momento in cui stava perdendo quota, in cui forse sentiva una crisi d'identità tra la vocazione sperimentale che da sempre gli è stata congeniale, e quella, comunque, di rassegna per un grande pubblico: si pensi alla Piazza Grande, una delle sale cinematografiche all'aperto più belle d'Europa, almeno 8000 posti, e uno schermo e una qualità di visione unici.
Tanto che la serata preinagurale, dedicata a La nostra vita, ha visto il tutto esaurito e ha fatto apprezzare a pieno la bella opera di Daniele Luchetti. Cosa che vale anche per King's road, un gioiello che viene dall'Islanda e si contrappone, nello stile e nelle tematiche, oltre che nell'impatto, all'altro caso del giorno, LA. Zombie. Valdís Óskarsdóttir, la regista di King's Road, ha saputo disegnare una commedia malinconica davvero speciale. Se si esclude una parte centrale con qualche passaggio a vuoto, il lavoro della cineasta islandese, con l'ispirazione del miglior Kaurismaki, racconta un microcosmo che tanto sembra la metafora del suo paese, imploso sotto il peso del crack finanziario e motore involontario del crollo economico dell'ultima crisi globale. Un film ambientato in un campo-caravan dove tutti hanno qualcosa che li autodistrugge: l'alcol, l'amore negato, la rabbia repressa e depressa. Vale persino per chi viene da fuori, come il bravo Daniel Brühl (Goodbye Lenin e Bastardi senza gloria). "Ma- ci ricorda il protagonista Gisli Orn Garoarsson, già visto in Prince of Persia- in verità l'Islanda è bellissima: noi facciamo questi film, ci inventiamo il crack o il famoso vulcano, solo per tenercela tutta per noi". Un'opera dolce e delicata, ma anche ruvida e cattiva che sa entrarti dentro con il suo rigore gentile. Aggettivo che di certo non puo' essere usato per il film di Bruce LaBruce, LA. Zombie, 63 minuti di sesso esplicito e uno sguardo impietoso sul lato buio di Los Angeles. La storia di un alieno-zombie, presa di peso da un film di Mario Bava, che riporta la vita tra i morti causati dalla violenza metropolitana. Il suo metodo è molto particolare: introduce il proprio organo sessuale nelle ferite letali delle vittime, per poi consumare amplessi gay molto spinti. "La pornografia è arte- ha dichiarato con la solita scanzonata aria provocatoria l'artista-, e il dibattito su chi vuole ancora dividerle è vecchio e noioso".