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Con gli scavi del metro C torneranno alla luce i tesori della Roma imperiale

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Questo articolo è stato pubblicato il 13 agosto 2010 alle ore 08:17.

A pochi è noto che il Colosseo fu costruito da Vespasiano grazie al fiume di ricchezze proveniente dalla conquista di Gerusalemme, ma quasi nessuno sa che gli oggetti più preziosi del bottino erano custoditi a poca distanza dall'Anfiteatro, nel Foro della Pace, ai piedi dell'altura della Velia demolita nel 1932 per l'apertura di via dei Fori Imperiali. Il più grande museo della Roma imperiale che tra pochi mesi grazie agli scavi del metro C potrebbe tornare alla luce per la prima volta.

Il Foro fu inaugurato nel 75 dopo Cristo per celebrare la pacificazione dell'impero all'indomani della guerra civile e della repressione della rivolta giudaica portata a termine nel 70 da Tito con la distruzione di Gerusalemme e del celebre Tempio di re Salomone. Da questo furono trasferiti a Roma i preziosi arredi sacri che sfilarono nel trionfo del principe, come mostrano i rilievi dell'arco dedicato a Tito sulla Via Sacra: tra le prede era il grande candelabro d'oro a sette braccia (Menorah), esposto per secoli nel Tempio della Pace.

Gli scavi realizzati dalla Soprintendenza speciale per i Beni archeologici di Roma e dalla Sovraintendenza ai Beni culturali del Comune di Roma tra il 1998 e il 2006 nel Foro, su una superficie di circa 4.500 mq, pari a un quinto della sua estensione (mq 22mila, il secondo in grandezza dopo il Foro Traiano), hanno finalmente gettato luce su un monumento finora sconosciuto, celato sotto via dei Fori Imperiali. Prima degli scavi, il suo aspetto era noto solo grazie a 4 frammenti di una lastra della Forma Urbis Severiana, la grande pianta marmorea di Roma che l'imperatore Settimio Severo fece collocare all'interno di uno degli ambienti del Foro tra la fine del II e l'inizio del III secolo dopo Cristo, dopo la ricostruzione seguita all'incendio del 192.

La denominazione "Foro" della Pace comparve in età tarda: la definizione originaria del complesso era "Tempio della Pace" (Templum Pacis) che ne indicava una funzione molto diversa rispetto agli altri quattro Fori Imperiali, costruiti perlopiù come luoghi di amministrazione della giustizia da Cesare, Augusto, Nerva e Traiano.

Il Foro della Pace aveva l'aspetto di una piazza porticata su tre latiche circondava un'area scoperta, non pavimentata, nella quale si svolgevano sei lunghi canali d'acqua sopraelevati, circondati da siepi di rose di cui sono stati rinvenuti i resti carbonizzati. Al centro del portico settentrionale era l'aula di culto della Pax, la cui facciata era decorata da due file di sei colonne monolitiche lisce di granito rosa d'Egitto alte ben quindici metri e il cui interno era splendidamente pavimentato in marmi colorati. Ai lati dell'aula c'erano quattro grandi sale, due delle quali inglobate nella chiesa dei SS. Cosma e Damiano, le altre due ancora sepolte sotto via dei Fori Imperiali.

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«Sotto il metro C i tesori della Roma imperiale»

Ci sono oppurtunità che ai comuni mortali dicono poco ma che per gli archeologi di professione

Veduta ricostruita del foro

Tags Correlati: Beni culturali | Domus Aurea | Gerusalemme | Plinio il Vecchio | Roma | Settimio Severo | Templum Pacis | Vespasiano

 

La facciata della chiesa è, infatti, costituita dalla parete di fondo di una delle sale e su di essa erano fissate in antico le 150 lastre di marmo che componevano la Forma Urbis, come testimoniano i numerosi fori lasciati dalle grappe di ancoraggio tuttora visibili. La pianta di Roma – che misurava metri 18 x 13 ed era realizzata alla scala di 1:240 – testimonia la presenza nel Templum Pacis di un ufficio della Prefettura urbana responsabile del catasto cittadino e di un ricco archivio amministrativo, come sembra documentare la scoperta di altre piante marmoree più accurate della Forma Severiana (che doveva essere una sorta di quadro d'unione), veri e propri documenti "catastali" nel senso moderno del termine.

Le fonti letterarie antiche informano della presenza, nel complesso, di una vasta collezione di pitture e di sculture "restituite" al popolo romano da Vespasiano: Nerone, infatti, le aveva rinchiuse nella Domus Aurea. Dalle indagini archeologiche provengono, a conferma delle fonti, numerose basi marmoree di statue con incisi i nomi di famosi scultori ateniesi tra i quali: Policleto, Leocare e Prassitele.

La raccolta di opere d'arte, la cui formazione è forse attribuibile alla colta raffinatezza di un intellettuale famoso come Plinio il Vecchio, amico di Vespasiano, doveva essere distribuita al coperto lungo i portici della piazza. Il Foro includeva anche una biblioteca, la celebre Bibliotheca Pacis, che conteneva sezioni tematiche di filosofia, storia, letteratura e medicina, quest'ultima legata alla presenza della scuola medica guidata da Galeno. Anche in questo caso l'archeologia ha consentito di verificare la correttezza della tradizione grazie al recupero di un piccolo ritratto in bronzo del filosofo stoico Crisippo, vissuto nel III secolo a.C., e di una statuetta in avorio di Settimio Severo, entrambi autori di testi studiati e apprezzati nell'antichità; le loro icone, che trovano puntuale confronto con altre analoghe di filosofi dalla biblioteca della Villa dei Papiri a Ercolano, indicavano la collocazione delle loro opere all'interno della Bibliotheca Pacis.

Il Tempio della Pace dunque, diversamente dagli altri Fori Imperiali, era un santuario e insieme un luogo di studio e di meditazione, oltre che un museo pubblico, secondo un ideale di diffusione della cultura caratteristico dell'età Flavia. Come in molte altre biblioteche antiche di Roma anche qui si univa al patrimonio letterario un consistente archivio amministrativo e si affiancava alla lettura il godimento estetico delle opere dell'ingegno umano attraverso la preziosa collezione d'arte esposta nel complesso.
Il Templum Pacis era anche, infine, un immenso giardino, il più bello e il più lussuoso dell'impero, in un'epoca in cui l'arte dei giardini (detta ars topiaria) raggiunse livelli altissimi, e costituì un modello sia per i proprietari delle abitazioni pompeiane che per gli imperatori successivi, come Adriano nella sua omonima villa di Tivoli.

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