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Cultura-Domenica Musica

Quarant'anni senza Hendrix. Mostre ed eventi nel segno del Mancino di Seattle

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Questo articolo è stato pubblicato il 16 settembre 2010 alle ore 17:52.

Per fare di un artista un mito occorrono almeno quattro ingredienti: doti espressive fuori dal comune, storia personale quanto meno movimentata, un bel po' di carisma e un pizzico di mistero intorno alle circostanze del proprio decesso. Perché, per diventare davvero «eterno», tanto per cominciare devi essere morto.

È valso per Michelangelo Merisi da Caravaggio e, a tutt'altre latitudini, per James Marshall Hendrix da Seattle, in arte Jimi, la cui scomparsa risale al 18 settembre 1970, esattamente quarant'anni fa. L'uomo che alla fine degli anni Sessanta diede una bella «scossa elettrica» alla musica occidentale arrivando a codificare, di fatto, il concetto di chitarra rock possedeva in buona dose tutti e quattro gli ingredienti del mito.

In quanto a doti espressive suonava come nessun altro prima di lui (almeno sul pianeta Terra). In quanto a storia personale era una specie di romanzo ambulante: sangue nero e cherokee nelle vene, Hendrix attraversò tutti i luoghi e fu protagonista delle principali «situazioni» dei Sixties (dall'apprendistato acustico consumato nella Nashville del country, al servizio militare in tempi di Vietnam, dal Greenwich Village degli esordi solisti alla consacrazione in una Swinging London ormai a tinte psichedeliche). In quanto a carisma, fanno fede le testimonianze di chi lo vide dal vivo, sul palco di Woodstock come su quello più modesto del Piper.

A proposito delle misteriose circostanze del decesso sono poi stati versati fiumi di inchiostro. Due cose sono certe: Jimi trascorse la sua ultima notte di vita a Londra, nell'appartamento che aveva affittato al Samarkand Hotel, al civico 22 di Lansdowne Crescent, e quella stessa notte fece abuso di alcol e barbiturici. A stroncarlo sarebbe stata infatti proprio un'improvvisa crisi di vomito causata dal cocktail fatale. Ma quando esattamente? Nel corso della notte, come scrisse la polizia di Sua Maestà nel referto ufficiale, o durante il trasporto in ospedale? Fu un tragico incidente? Fu omicidio colposo da imputare a chi gestiva il servizio di ambulanza? O, piuttosto, omicidio volontario come vorrebbero le tesi più avventurose, visto che Hendrix era una «gallina dalle uova d'oro» contesa da più parti e non tutte raccomandabili?

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A quasi 40 anni dalla morte aperta al pubblico la casa londinese di Jimi Hendrix. Ecco il video

A quasi 40 anni dalla sua morte (18 settembre 1970), apre i battenti al pubblico l'appartamento

Tags Correlati: Animals | Caesar Glebbeek | Chas Chandler | Fender | Harry Shapiro | Hendrix | James Marshall | Londra | Monika Dannemann | Musica | Sixties | The Beatles

 

La tedesca Monika Dannemann, fidanzata del guitar hero che condivise con lui la fatale notte, sul tema si è più volte contraddetta in questi quarant'anni, alimentando le dietrologie. A questo punto appare scontato che non saranno sufficienti altri quarant'anni per dire l'ultima parola sul caso. Niente paura: saranno il mito e l'arte immortale del mancino di Seattle a tenerci compagnia. Per comprendere la grandezza del primo, basta passare in rassegna le innumerevoli iniziative che in giro per il mondo commemorano il quarantennale della scomparsa.

Si parte dalla mostra in corso fino al 7 novembre al George Handel House Museum di Londra, la casa museo appartenuta prima al grande compositore tedesco poi allo stesso Hendrix. Il titolo dell'evento è «Hendrix in Britain» perché chi l'ha organizzato intende documentare, con scrupolo scientifico e dovizia di materiali (soprattutto memorabilia), il passionale rapporto che legò l'autore di «Purple Haze» alla sua patria adottiva (c'è dentro di tutto: dalla scoperta da parte dal bassista degli Animals Chas Chandler all'amore per i Beatles, ancora alla partecipazione al Festival dell'isola di Wight).

Chi proprio non riesce a fare una puntata nella capitale inglese può ripiegare su «Hendrix Now», mostra fotografica che si tiene alla galleria Photology di Milano fino al 19 novembre. Per chi poi è interessato ad approfondire vita, morte e miracoli (musicali) del Mancino di Seattle, la casa editrice Arcana ristampa in occasione della ricorrenza «Una foschia rosso porpora», la fondamentale quanto voluminosa biografia a firma di Harry Shapiro e Caesar Glebbeek.

Ma il migliore modo per conoscere Jimi resta sempre la sua arte: assolutamente da possedere i tre album in studio («Are you experienced?», «Axis: bold as love», «Electric Ladyland») e il live («Band of Gypsys») che il geniale chitarrista pubblicò quand'era in vita, lasciando ai fan la sterminata e controversa discografia postuma. Dentro queste quattro opere c'è tutto un mondo. Quasi incredibile che a generarlo siano stati sufficienti «appena» un amplificatore Marshall, qualche pedale e una Fender Stratocaster.

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