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Ward 54, viaggio serrato di Monica Maggioni tra le menti angosciate di chi è andato alla guerra

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Questo articolo è stato pubblicato il 07 settembre 2010 alle ore 09:29.

Controcampo, fuori concorso. È una delle cose più belle del 67° Festival di Venezia, questo Ward 54 di Monica Maggioni. Un'ora, serrata, alla ricerca e all'inseguimento della follia latente di una guerra ingiusta. Follia latente nel senso letterale della parola: parliamo di quello stress post-traumatico (il PTSD) che coglie moltissimi soldati e che con le invasioni-missioni in Iraq e Afghanistan è divenuto un fenomeno dilagante.

Dal 2001 al 2009 è stato uno tsunami di sucidi tra soldati e sottoufficiali mandati in battaglia. E l'anno scorso, appunto, con un ritmo di 18 veterani al giorno che si tolgono la vita, il numero di suicidi tra i militari ha superato quello dei caduti in guerra. Un genocidio ritardato, di cui la brava giornalista e inviata di guerra italiana rende conto nel suo primo documentario, con una serie di testimonianze legate dalla storia di Kristofer Goldsmith.

Un ragazzo disperato, scosso dalle sue esperienze in Iraq ed alcolista, uno che la divisa se l'era messa per passione, perchè ci credeva. Giovane sergente schiacciato da ciò che ha visto e vissuto, da una guerra che ti fa sparare su civili inermi e minorenni, la confessione spontanea di chi pensava di esportare la democrazia e ha scoperto che importava dolore e sensi di colpa. Attraverso questa lente d'ingrandimento scopriamo altre vicende, che fanno capo proprio al Ward 54, il braccio psichiatrico, spesso inefficiente (a voler essere buoni), dell'ospedale dei veterani di Washington D.C.. Un inferno in cui la malattia mentale è negata, stigmatizzata, in cui tentare il suicidio è una colpa che va lavata col congedo con disonore. Un'ingiustizia perpetrata con scientifica crudeltà da parte dello stato e delle forze armate, una negazione dell'evidenza che sconvolge lo spettatore col solo potere della testimonianza e dei ricordi.

E Kristofer se ne fa carico, assieme a Monica Maggioni, raccontandoci la sua lotta per ritrovare i diritti a lui (e ad altri) strappati, di un'America che manda i suoi soldati al fronte, ma non ne accetta le conseguenze, non li rivuole indietro quando diventano vuoti a perdere. Vuole il congedo con onore per sé, per il suo futuro, ma anche per salvare molti suoi commilitoni. Quelli che hanno paura, che non raccontano il loro disagio per paura di vedersi strappata la carriera, quelli che non lo riconoscono. Monica Maggioni, alternando interviste a «consulenze» psichiatriche, unendo le parole di Kristofer a quelle di chi gli è o gli è stato vicino, non si lascia mai ingabbiare dalla retorica, e col rigore e la passione che ha come inviata, sa mostrare questo dramma anche come regista.

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Ward 54, la Maggioni racconta l'incubo dei reduci dall'Iraq

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Ad accompagnarla sul red carpet ci sarà un giovane reduce della guerra in Iraq che, dopo aver

Tags Correlati: Afghanistan | Controcampo | Cultura | Forze Armate | Iraq | Kristofer Goldsmith | Monica Maggioni | Stati Uniti d'America

 

E ci dice della guerra in Iraq e Afghanistan molto di più rispetto a quello che tanti pamphlet pacifisti hanno detto. Lei dà voce a chi, armi in mano, voleva difendere il proprio paese, a coloro che dopo l'11 settembre hanno deciso di arruolarsi, ai giovani che cercavano un'esperienza e del denaro, a chi c'è andato perché sognava di esser militare fin da piccolo. Di chi la guerra la vuole, pardon la voleva fare. E a dirci che è ingiusta, infame, terribile sono questi ragazzi col berretto che nasconde, ma mai del tutto, uno sguardo terrorizzato e angosciante. In fondo al quale non si riesce ad arrivare.

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