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Questo articolo è stato pubblicato il 09 settembre 2010 alle ore 18:29.
Il monumentale Noi credevamo ha suonato la carica. L'Italia al Festival di Venezia, pur presente con una compagine ipertrofica nella selezione principale (soprattutto fuori concorso), aveva stentato. Dopo Mario Martone, invece, sembra aver ingranato le marce alte. Non del tutto nel concorso, dove Saverio Costanzo nelle proiezioni per la stampa subisce qualche fischio e alcuni applausi, con un film irrisolto come il libro premio Strega di Paolo Giordano da cui ha tratto La solitudine dei numeri primi, ma di sicuro alle Giornate degli Autori in cui Et in terra pax della giovanissima coppia Matteo Botrugno-Daniele Coluccini ed E' stato morto un ragazzo. Federico Aldovrandi che una notte incontrò la polizia di Filippo Vendemmiati (nella sottosezione Spazio Aperto e dal 9 settembre in libreria in edizione Promo Music, libro+dvd) trovano un grande riscontro di pubblico.
Ma è giusto partire dall'evento del giorno, da quel giovane ma già eccellente regista che è Saverio Costanzo, Pardo d'oro a Locarno con Private, e a Berlino con In memoria di me, gioiello non del tutto compreso nella sua bellezza dalla critica. Torna con una sfida notevole, ridurre e adattare al cinema La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano (nelle sale italiane dal 10 settembre in 380 copie per Medusa), premiato e osannato, probabilmente oltre i suoi meriti. Il libro, infatti, rappresentazione straziante e allo stesso tempo quasi scientifica del dolore da parte del fisico-scrittore, sembrava impossibile, nella sua struttura, da portare sul grande schermo. E i difetti del film, non a caso, sembrano quelli dell'opera letteraria: la seconda parte, fredda e lontana dal lettore, ma soprattutto da una prima avvincente ed efficace, non viene migliorata dal cineasta, che invece ne cade vittima. Tanto è brillante, bella, coraggiosa la prima ora di visione, il racconto dell'infanzia dei due protagonisti con una narrazione fatta di piani temporali sovrapposti, di musiche molto belle e atmosfere quasi horror- i primi due pezzi della colonna sonora sono presi da Back to the Goblin e dalla melodia che compose Morricone per L'uccello dalle piume di cristallo-, tanto arranca la seconda, nell'infelicità disorientata di Alba Rohrwacher, comunque brava, e nella chiusura emotiva di Luca Marinelli. Due personaggi inevitabilmente antipatici e poco interessanti da adulti, che non assumono fascino sullo schermo. E lo stesso regista, forse, ne è cosciente. "Si è parlato tutti i giorni di questo film, e forse s'è creata troppa attesa: dico subito agli spettatori che non si troveranno davanti Kubrick o Il gattopardo". Anche se una citazione di Shining c'è, tanto per ricordare che il ragazzo di talento ne ha da vendere. "In ogni caso sono felice di essere qui, a un festival tanto importante- ormai gli manca solo Cannes per il percorso netto- e di esserci con un film a cui sono molto affezionato".