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Questo articolo è stato pubblicato il 11 settembre 2010 alle ore 18:39.
VENEZIA. Aveva giurato in apertura di festival che non avrebbe fatto favoritismi, ma che se un film gli fosse piaciuto, lo avrebbe premiato anche se l'avesse girato sua madre. E Quentin Tarantino, presidente della giuria del concorso alla 67esima edizione della Mostra del cinema di Venezia, ha mantenuto fede alla sua parola. Il Leone d'oro è andato infatti a una sua vecchia fiamma, Sofia Coppola, con Somewhere, già nelle sale italiane.
L'opera racconta la storia di un divo italoamericano, Johnny Marco (Stephen Dorff), annoiato da tutto e da tutti: dalla sua Ferrari nera che fa scorrazzare a vuoto in un deserto (questa scena vale il biglietto per il film), dalle donnine che affitta per fare la lapdance attorno a un palo smontabile, dai giornalisti che gli pongono domande idiote. L'unica a risvegliarlo dal suo torpore è la figlia adolescente Cleo (una bravissima Elle Fanning), con cui nasce una dolce complicità attraverso un viaggio in un'Italia baraccona, superficiale, malata di televisione. Un film godibile, con alcune trovate originali e divertenti, ma piuttosto ordinario per guadagnarsi il massimo riconoscimento della Mostra. Era prevedibile che qualcosa andasse ad Alex de la Iglesia con Balada triste de trompeta, ma non addirittura il Leone d'argento per la regia e il premio Osella per la sceneggiatura. Certamente ha incontrato i gusti di Tarantino la storia del pagliaccio triste che combatte con un altro clown, capo del circo, per l'amore di un'acrobata nella Spagna franchista. Con colpi di scena splatter, cattivo gusto e violenza gratuita, Balada triste de trompeta è una specie di Inglorious basterds alla spagnola. Qui non si uccide Hitler in un cinema, ma il pagliaccio triste, imprigionato da cattivissimi bracconieri che lo trattano come una bestia, morde la mano al caudillo. L'onnipresente Vincent Gallo, che ha firmato come regista forse il film più brutto del festival, Promises written in water, ha vinto a ragione la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile con il suo ruolo di protagonista in Essential Killing di Jerzy Skolimowski, anche se pure il Barney di Giamatti avrebbe meritato una menzione. La pellicola, che si è aggiudicata anche il Premio Speciale della Giuria, racconta con qualche sbavatura di retorica la storia di un prigioniero talebano braccato dall'esercito nella tundra europea, ma si vede dietro la cinepresa la mano di un grande maestro, soprattutto nella scena iniziale in terra afgana e nella sempre meravigliosa fotografia. L'Osella per questa disciplina è andata, invece, a Mikhail Krichman per Silent souls di Aleksei Fedorchenko, poeticissimo addio di un marito alla moglie secondo le tradizioni dei Merja, una tribù ugro-finnica della Russia centro-occidentale in via di estinzione.