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Corro al lavoro, poi scriverò

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Questo articolo è stato pubblicato il 19 settembre 2010 alle ore 18:19.

Si dirà che di scrittori lavoratori è piena la storia della letteratura: da Céline, il «medico dei poveri» di Montmartre, a Primo Levi, che anche grazie al mestiere di chimico riuscì a sopravvivere ad Auschwitz; l'ingegnere elettrotecnico Emilio Gadda e il giovane assicuratore Franz Kafka.
Esempi importanti ma rari in un Novecento caratterizzato dalla figura dell'intellettuale organico e salva-popolo.

Per un Volponi che conservava il suo mestiere in fabbrica, dieci Montale, Pirandello e Ungaretti facevano della scrittura non solo una professione, ma un passepartout per la società letteraria e una missione per cambiare il mondo. Con grande determinazione e una punta di orgoglio.
Già la rivista «Nuovi Argomenti» ha tentato nel 2002 di tracciare una mappa del nuovo rapporto tra scrittori e lavoro. E già allora, attraverso gli interventi di Rocco Carbone (professore di italiano al carcere di Rebibbia), Fernando Acitelli (impiegato in una società petrolifera per 17 anni) e Valerio Aiolli (contabile in un'azienda), veniva fuori un quadro molto diverso: un'Italia sì piena di scrittori ma con pochi capaci di vivere di parole.
Gli ultimi dieci anni hanno rimescolato ancora le carte. Al di là di sporadici casi (Antonio Scurati, Alessandro Piperno, Susanna Tamaro), chi scrive oggi in Italia ha abdicato al ruolo del pensatore pubblico: non sa solo perché è «un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace».

Nonostante la lezione di Pier Paolo Pasolini, lo scrittore oggi fa. Spesso in contesti che sfiorano la scrittura o la comunicazione. A volte in ambienti che con punteggiatura, metafore e padri della letteratura non hanno niente a che fare.
Abbiamo chiesto a questo esercito di lavoratori a partita Iva e contratti a tempo determinato con il taccuino sempre in tasca di raccontarci come si vive con un doppio lavoro e se "l'assolutismo letterario" sia ancora un valore.
Ci sono nomi noti al grande pubblico. L'autore di Romanzo Criminale (Einaudi Stile Libero), Giancarlo De Cataldo, per esempio, che non rinuncia alla sua attività di magistrato, perché, afferma, «il lavoro mi consente di venire a contatto con la peculiare tipologia umana che frequenta le aule di giustizia». Oppure Ugo Riccarelli, premio Strega nel 2004 con Il dolore perfetto (Mondadori), tuttora impiegato al Comune di Roma, che dichiara: «La letteratura non esaurisce il mio bisogno di conoscenza».

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Gli scrittori del '900 e quel difficile equilibrio con il lavoro vero

Litterae non dant panem, la scrittura non paga. Lapidari quant'altri mai i latini liquidavano la

Scrittori lavoratori

Tags Correlati: Alberto Moravia | Carolina Cutolo | Cultura | Einaudi Stile libero | Emilio Gadda | Fazi editore 2007 | Feltrinelli | Giancarlo De Cataldo | Marcos y Marcos | Ministero delle Politiche Agricole e Forestali | Mondadori | Pier Paolo Pasolini | Roma | Simona Baldanzi | Susanna Tamaro |

 

E ci sono nomi meno noti a chi frequenta classifiche e premi, ma che rappresentano bene i tanti autori che riescono a pubblicare ma non a vivere con i libri.

Piersandro Pallavicini, che ha scritto, tra gli altri, African Inferno (Feltrinelli), è un chimico. «Dal lunedì al venerdì lavoro e basta: vado in università alle 8.30 ed esco alle 19 con una mezz'ora di pausa pranzo che dedico alla revisione dei testi. Per la scrittura ho il weekend e le vacanze». Pallavicini non rinuncerebbe mai alle sue giornate tra molecole e nanotecnologie: «L'approccio scientifico che applico tutti i giorni al mio lavoro mi aiuta ad avere i piedi ben piantati a terra, a riconoscere che una banalità avvolta in una confezione fascinosa da un punto di vista lessicale o stilistico è pur sempre una banalità».
Da Emiliano Gucci (L'umanità, Elliott 2010) che fa il commesso in una libreria di Firenze con un part-time a tempo indeterminato ad Antonio Pascale (Questo è il paese che non amo, Minimum Fax 2010) che lavora due giorni alla settimana al ministero delle Politiche agricole, nessuno vuole rinunciare alla finestra sul mondo rappresentata dal cartellino da timbrare all'ingresso.
Lo spiega bene Carolina Cutolo, che si guadagna da vivere facendo la bartender. Il suo Pornoromantica (Fazi editore 2007) è stato – insieme al libro di Pulsatilla, nick name per Valeria di Napoli – uno dei primi esperimenti italiani (riusciti) di blog che si trasformano in libri. Nonostante le 50mila copie, la disinibita Carolina, che istruiva i suoi lettori sui misteri del sesso e della tenerezza, continua a servire mojito e gin tonic ai ragazzi romani.
«Dopo l'uscita di Pornoromantica avrei potuto smettere di lavorare per un po' ma ho solo diminuito i turni settimanali. Temo di allontanarmi dalla realtà se non lavoro, e di raccontare storie fasulle. Il barman è per molti una specie di confessore, mi capita in continuazione di sentire storie che poi finiscono sul mio pc».

Per qualcuno è una questione di principio. Fare il pizzaiolo è per Cristiano Cavina (autore Marcos y Marcos) un modo per «comprare la libertà»: «Guadagno molto a scrivere, dice, ma anche se non dovessi più prendere una lira, ho sempre i soldi del mio secondo lavoro».
Per tanti però non è solo una scelta. Vivere di libri in Italia è quasi impossibile: le royalties sono bassissime (di solito oscillano tra il 10 e il 25%) e, quando ci sono, i compensi degli editori spesso non coprono neanche il periodo di promozione del libro.
Simona Baldanzi, suffragette della narrativa contemporanea (Figlia di una vestaglia blu pubblicato da Fazi nel 2006 ha rinfrescato l'interesse di editori e lettori sul mondo della fabbrica) ha scritto sul suo blog: «Certo, sapevo bene che leggere e scrivere correttamente mi avrebbero aiutato ad affrontare i pensieri di tutti i giorni, ma non che il solo fatto di scrivere potesse darmi da vivere. Al massimo poteva darmi soddisfazione: al ritorno dal Campiello Giovani, mia mamma mi disse che c'era il concorso alle Poste». Simona non è andata a lavorare alle Poste, ma tra un libro e il lavoro di operatrice sociale, ha aperto insieme ad altri scrittori (da Sandro Veronesi ad Angela Bubba) «Scrittori in causa», uno spazio online di discussione su futuro e diritti dell'editoria.
«Se pubblichi in Italia spesso devi ringraziare per il prestigio che ti hanno regalato: i giornali ti chiedono racconti gratis in cambio di visibilità. A un elettricista chiederebbero di sistemargli la luce in redazione in cambio del passaparola con gli amici per il buon lavoro svolto?».
Che siano case di produzione televisiva, uffici culturali dei Comuni, scuole o siti internet è fuori dai salotti e dagli studi che gli scrittori italiani cercano e raccontano storie. Con un piede nelle fondazioni bancarie per chiedere un prestito per un festival e un altro in piazza per difendere i contratti editoriali. In movimento ma non in fuga.
serena.danna@ilsole24ore.com
twitter@24people

Il precedente
Nel 2002 la rivista letteraria Nuovi Argomenti, fondata nel 1953 da Alberto Carocci e Alberto Moravia, ha dedicato un numero al tema del lavoro. I curatori della rivista hanno consegnato un dossier di domande a un gruppo di autori under 50 (tra gli altri: Valerio Aiolli; Rocco Carbone; Antonella Cilento) nel tentativo di rappresentare il rapporto con il lavoro di una generazione di scrittori e di capire le differenze tra gli autori del 2000 e quelli del passato.
Il lavoro viene ovviamente inteso in due sensi: quello creativo – la scrittura – e quello che permette di pagare le bollette e le scuole dei figli. Ne è emerso un quadro molto diverso da quello del '900 e caratterizzato da una profonda scissione tra il tempo della scrittura e quello del "mestiere".

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