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Cultura-Domenica Arte

Antichità rubate. Finisce in prescrizione il processo contro il museo Paul Getty

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Questo articolo è stato pubblicato il 14 ottobre 2010 alle ore 18:37.

Finisce all'italiana il processo contro l'ex curatrice delle antichità del Paul Getty Museum di Los Angeles, accusata di avere acquistato e fatto arrivare a Malibu beni archeologici trafugati dall'Italia. Il caso davanti al tribunale di Roma è stato dichiarato chiuso, perché i termini di prescrizione sono scaduti. Ne danno ampia notizia i giornali americani.

Il procedimento contro Marion True è terminato di colpo, scrive Elisabetta Povoledo sul New York Times, dopo essersi «trascinato in modo intermittente per cinque anni». Si sono susseguiti numerosi testimoni per l'accusa, secondo la quale la curatrice era consapevole di acquistare reperti di dubbia provenienza per la collezione del Getty Museum. «Era considerato il primo caso in cui il curatore di un museo affrontava imputazioni penali per presunti reati del genere», osserva il Nyt. Il suo team legale italiano non aveva ancora cominciato a convocare testimoni a sua difesa.

La signora True, messa sotto indagine nel 2000, ha sempre sostenuto la sua innocenza. È stata curatrice del Getty dal 1986 al 2005 e si è dimessa poco dopo l'inizio del processo. Il caso è stato seguito con attenzione dai media e dal mondo museale, dove negli ultimi anni gli standard sull'acquisizione di antichità sono al centro di un acceso dibattito.

Il processo ha in qualche modo dato la sveglia ai musei americani, invitandoli a esaminare da vicino pratiche di acquisizione non insolite negli Usa negli anni '80 e '90, come spiega al Nyt, Maxwell Anderson, direttore dell'Indianapolis Museum of Art ed ex presidente dell'Associazione dei direttori dei musei d'arte. Nel 2008 l'Associazione ha adottato una regola che proibisce ai soci di acquisire antichità la cui provenienza non sia stata adeguatamente dimostrata. True, secondo Anderson, «si è sacrificata per gli altri direttori di museo americani».

Il pm Paolo Ferri, che ha imbastito il processo contro True e ora è in pensione, ha detto che il caso è servito come segnale per far capire ai musei che bisogna smettere di comprare reperti senza provenienza certa.

Negli anni del processo, i legali dello Stato italiano hanno negoziato accordi con vari musei americani, tra cui il Metropolitan Museum of Art di New York e il Museum of Fine Arts di Boston, per la restituzione degli oggetti di dubbia provenienza. Il Metropolitan ha raggiunto un accordo nel 2006: in cambio di prestiti a lungo termine, ha restituito 20 reperti, tra cui il famoso vaso di Eufronio, e vari pezzi di argenteria ellenistica.

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Tags Correlati: Arte | Calabria | Elisabetta Povoledo | Francesco Isolabella | Marion True | Maurizio Fiorilli | Maxwell Anderson | Nyt | Paolo Ferri | Stati Uniti d'America

 

Nel 2007, il Getty ha accettato di restituire 40 reperti che l'Italia sostiene siano stati saccheggiati dal suo territorio prima che il museo li acquisisse. Quando era curatrice al Getty, True ha restituito vari reperti, una volta informata dall'Italia che erano stati rubati, tra cui una kylix risalente a 2.500 anni fa degli artisti greci Onesimos ed Eufronio, un tripode di bonzo etrusco, e 3.500 reperti del sito archeologico di Francavilla Marittima, in Calabria. Nel 1995, True ha persuaso il Getty ad adottare standard severi esigendo che gli oggetti che il museo intendeva acquistare fossero documentati dagli studiosi.

Maurizio Fiorilli, il legale che ha negoziato gli accordi di restituzione con i musei americani, ha descritto la signora True come «una figura contraddittoria», che comperava antichità senza l'appropriata «due diligence», mentre cercava di alzare gli standard di acquisizione del museo. Dopo la decisione del tribunale, uno dei suoi legali, Francesco Isolabella, le ha telefonato nella sua casa in Francia per darle la notizia. «Sono felice che dopo 10 anni il processo sia finito», ha commentato True, dicendosi sollevata che sia passato il tornado che le ha «istrutto la vita».

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