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Cultura-Domenica Arte

Le foto di Bavagnoli che raccontano il sogno di Nivola

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Questo articolo è stato pubblicato il 15 ottobre 2010 alle ore 15:47.

La mostra che non ti aspetti è nascosta nel labirinto delle viuzze di Orani. Arrivi nel paese del nuorese, e boom! Subito all'ingresso d'un curvone si allunga la ripida salita di granito che porta al Museo Nivola. La sua fontana sul prato - un gigantesco blocco di marmo bianco e un'ombra di ferro cui fanno corona le montagne e un cielo azzurrissimo - lasciano la mezz'aria. L'emozione si fa altissima. Poi abbandonato il museo (un'isola felice nell'isola) si parte alla volta delle stradine del paese. E qui il salto, oltre che nello spazio, arretra le sensazioni nel tempo. 1958, Costantino Nivola torna al paese natìo per un confronto ravvicinato. Lo scultore acclamato in America vuol presentare alla sua gente le sue creazioni. L'impatto è forte. Gli scatti di Carlo Bavagnoli registrano l'attimo.

Titinu - come tutti lo chiamano in paese - non ha tradito le sue radici, che ha anzi reso universali e fissato per sempre. Gli sguardi dei compaesani sono rispettosi e stupiti. Sugli stessi muri, una volta di pietra e oggi intonacati, grandi fotografie riproducono in bianco e nero quegli attimi nel presente. La gente ritratta è attenta, i pantaloni dei ragazzi hanno le toppe. Le scarpe, tra molti piedi scalzi, sono vecchie. Qualcuno sorride al fotografo nella ritrosìa timida e altera che ancora caratterizza questa gente.

Le emozioni tradite sanno di arcano e soprattutto di vero. Il grande fratello e la tv sono lontani anni luce da quelle case precarie dove il calore familiare traspare come unico orpello di stanze disadorne e vuote di miseria. Nivola è ritratto all'opera con gli scalpellini del paese. Scolpisce, crea dal cemento e dalla pietra le sue figure lontanissime e familiari al contempo. A New York e non solo i maggiori architetti se lo contendono. Collabora con Bernard Rudofsky. Con le Le Corbusier ha diviso lo studio per anni di intensa e rispettosa amicizia. Eppure questo figlio di un muratore, non ha dimenticato e non intende rinunciare a nulla delle sue origini. A tutti racconta che i suoi «oggetti arcani ambiti dagli intellettuali d'oltreoceano, si ispirano al mondo della sua Sardegna e che dai suoi compaesani verrebbero facilmente compresi». La sua avanguardia «è nel mondo agropastorale». Eppure Nivola forse ha paura della reazione della sua gente. Teme di risultare incompreso. Ma vuole mettersi alla prova.

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Tags Correlati: Arte | Bernard Rudofsky | Carlo Bavagnoli | Costantino Nivola | Eppure Nivola | Le Corbusier | Margherita Coppola | Nostra Signora | Orani | Stati Uniti d'America |

 

Così quel suo ritorno (la poetica mostra, su progetto di Margherita Coppola che è anche conservatore del Museo Nivola, è intitolata Ritorno ad Itaca) si trasforma in una scommessa di confronto. La gente tocca le sue sculture.Col falcetto fra le mani in groppa ad un asino, o con le scarpe sporche del talco della vicina miniera, si ferma, guarda, commenta e tocca le sue sculture. Costantino talvolta appare intimidito, la sua compostezza è innata. Bavagnoli, che documentava "la performance" per Life Magazine indugia su quei volti con pudore. Documenta tutto. La facciata di Nostra Signora d'Itria si veste del graffito che Nivola ha voluto donarle. Tra impalcature a dir poco precarie le donne del paese sbirciano con le ceste in capo. I bambini sono presenti a frotte e appaiono come inebriati dalla novità. Negli scatti si compone un puzzle che va ben oltre la più semplice tranches de vie. Bavagnoli sembra cogliere l'essenza di questa comunità che - priva di quasi tutto - non riesce a rinunciare alla propria dignità orgogliosa.

In fondo quella del fotografo era la sfida la più dura, perché Costantino Nivola la sua l'aveva già in sacco: la sua gente aveva capito il messaggio. Con l'olfatto impregnato della polvere di cemento e con il tatto di mani che immaginiamo callose indagavano quei solidi ben la forma. Per cogliere la proposta di Titinu oltre alla comunità d'origine era necessario un incontaminato che oggi non è più. Almeno nei nostri occhi di visitatori estranei.In quelli degli oranesi non saprei.

Ps: Gira voce ad Orani che la mostra potrà divenire permanente e non fermarsi al solo prossimo novembre. In Sardegna le voci di paese sono tenute ancora in gran conto: speriamo che il comune di Orani le ascolti.

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