Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 20 ottobre 2010 alle ore 10:39.
Nelle ultime pagine del romanzo L'opera, Emile Zola fa morire il suo protagonista, il pittore Claude Lantier, tragicamente: l'uomo si impicca nel suo studio davanti al grande quadro cui aveva consacrato la vita e che non riusciva a portare a termine. È il 1885 e lo scrittore scrive a un amico che in questo romanzo racconta la propria giovinezza, se stesso, i suoi amici. Vuole fare il punto della situazione dell'epoca, sogni e battaglie, vittorie e soprattutto fallimenti: il perno sarà il tema dell'artista in lotta con l'opera, una lotta cioè tra l'anima e la materia, la materia pesante e crudele che sfugge al volere dell'uomo.
C'è un personaggio, il romanziere Sandoz, amico del protagonista, cui è delegato il compito di tirare la morale della storia, che è intellettualmente pessimista e moralmente ottimista.
Anche nel nuovo libro di Michel Houellebecq, La carta e il territorio, ci sono un artista e un romanziere ma la situazione, centoventicinque anni dopo, è diversa: l'artista serve ancora a fare il punto sul mondo, ma nel suo rapporto con l'arte non c'è più niente di così drammatico o melodrammatico, e il romanziere, che è l'altro personaggio forte del romanzo, non tirerà nessuna morale perché finirà assassinato. Tutto è meno drammatico ma più tragico, come avvolto in una sorta di fatalità storica dove il male non trionfa sul bene semplicemente perché non se ne distingue. Però anche il pittore di Houellebecq si arena davanti a una sua opera: è una grande tela che rappresenta altri due artisti in un momento cruciale della loro carriera e si intitola – o meglio si sarebbe dovuta intitolare: «Damien Hirst e Jeff Koons si spartiscono il mercato dell'arte». Il pittore non si uccide, ma uccide il quadro, squarciando la tela, calpestando i suoi resti e pestandoli sul pavimento come il più efferato dei killer. Dunque anche qui c'è un conflitto, non è più tra l'anima e la materia ma tra quella estensione del dominio della materia che è il mercato e ciò che dell'anima è rimasto nell'uomo: nient'altro che i suoi sintomi.
Il pittore si chiama Jed Martin ed è diventato famoso un po' per caso o, appunto, per fatalità, fotografando da artista le carte Michelin. La carta, ci viene spiegato, è meglio del territorio, il manufatto è meglio della natura così come il romanzo è meglio della realtà. Lo scrittore si chiama Michel Houellebecq, è un misantropo dedito al vino, ai salumi e alle riflessioni. I due si conoscono e il pittore, che è tornato alla pittura più tradizionale per un nuovo ciclo sui mestieri dell'uomo (di cui fa parte il quadro mancato su Hirst e Koons), vuole infilarci anche il romanziere, il quale poi, per quanto spesso ubriaco e somigliante a una vecchia tartaruga malata, diventa per Martin una specie di guida, forse più simile alle audioguide dei musei che a un vero guru, in una serie di dialoghi che sono al centro del romanzo. Per esempio, Houellebecq a un certo punto gli fa una lezione sull'arte del romanzo: si possono sempre prendere appunti, si può cercare di allineare delle frasi, gli dice,