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Questo articolo è stato pubblicato il 25 ottobre 2010 alle ore 10:45.
Piuttosto noto ma non famoso, Howard Jacobson solo un paio di mesi fa ha dichiarato di non voler più entrare nelle librerie di Londra per evitare l'umiliazione e l'offesa di non vedere mai i propri libri messi in bella vista. Vigoroso e raffinato, a voce e per iscritto – ce n'è pochi in giro capaci come lui capaci di giostrare con la lingua inglese –, Jacobson si è per anni portato appresso la nomea di «scrittore misconosciuto», anche se la cosa faceva un po' ridere perché, oltre ad avere firmato una dozzina di romanzi, è da non so quanto tempo un columnist settimanale per «The Independent» ed è stato autore di programmi televisivi di successo (l'ultimo dei quali – sulla storia della Bibbia, nientemeno –, trasmesso lo scorso gennaio su Channel 4).
Bisogna però subito aggiungere che quello di far ridere è il suo destino. Il marchio di fabbrica.
Jacobson è infatti uno scrittore comico – come sa bene chi abbia letto Kalooki Nights e L'imbattibile Walzer, entrambi pubblicati da Cargo e già recensiti su queste pagine – ed è forse per questo che non è mai stato preso troppo sul serio dalle varie giurie susseguitesi negli anni al Man Booker Prize: pur essendo stato selezionato due volte per il prestigioso riconoscimento, Jacobson non è infatti mai arrivato in finale. Questa volta, il 12 ottobre – nel giorno della scoperta del l'America –, è stato "scoperto" anche lui. «I am speechless», sembra abbia dichiarato al momento dell'annuncio. Nessuno gli ha ovviamente creduto e alla consegna del premio ha fatto sbellicare il pubblico investendo la giuria con una reprimenda in cui ha letto brani dei vari discorsi di accettazione scritti inutilmente – ha detto – a partire dal 1983. La data del suo primo romanzo.
Ho avuto il piacere di conoscere Jacobson un paio di anni fa alla Fiera del libro di Torino e mi sono fatto l'idea di un cordiale e intelligentissimo attaccabrighe, che nel rispondere alle domande capovolge puntualmente quello che ha affermato in pubblico l'ultima o la penultima volta: per il gusto di "vedere l'effetto che fa" e, soprattutto – si capisce abbastanza in fretta –, per prendere in considerazione un altro e ulteriore punto di vista. «We are a disputatious people», ha detto degli ebrei in una recente intervista. «Non possiamo pensarla allo stesso modo nemmeno per un attimo. Dev'essere il monoteismo che ci spinge alla continua diaspora». Ovvero, il Padreterno è qualcosa che ciascun ebreo vuole tutto per sé.