Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 31 ottobre 2010 alle ore 14:46.
Se l'8 marzo è la festa della donna, il 30 ottobre, almeno a Roma, è stato il Festival della donna. Lo dimostrano un poker di film che vanno dal documentario Bhutto, sulla compianta Benazir, leader pakistana uccisa nel 2007, a In un mondo migliore di Susanne Bier (il suo peggiore, purtroppo), passando per i film di Nigel Cole, We Want Sex, e Jim Loach (figlio di Ken), Orange and Sunshine, biopic di donne straordinarie che hanno fatto la storia con le loro battaglie di civiltà contro le ingiustizie.
Un quartetto che forse pecca, a dir la verità, di una solidità cinematografica- i quattro film non sono dei capolavori- ma che si concentrano su storie importanti.
Ed è per questo che tra esse scegliamo proprio le ultime citate. Due storie vere divenute film epici ed etici nei volti intensi e non banali delle protagoniste Emily Watson e Sally Hawkins.
Jim Loach ha scritturato la prima per il suo esordio, in concorso, Orange and sunshine, in cui mostra la capacità di indignazione civile e ricerca storica di papà Ken. Forse privo del suo carisma cinematografico, è però rigoroso nel reperimento delle informazioni e nella ricostruzione di una delle deportazioni dimenticate- anzi negate- più scandalose del mondo moderno.
Dal 1920 al 1970, un flusso costante di bambini, prevalentemente tra gli 8 e i 13 anni, furono spediti dalla Gran Bretagna all'ex colonia Australia, per motivi economici ed etnici. I primi volevano liberarsi di bambini difficili, prevalentemente figli di madri vedove o divorziate (alle quali venivano strappati con la promessa di una vita migliore: loro invece andavano a fare gli schiavi per istituti della Chiesa Cattolica, tra maltrattamenti e lavoro minorile, convinti dai loro "sequestratori" legalizzati che le loro mamme fossero morte), i secondi volevano costruire una generazione di popolazione bianca. Una vicenda durissima, insopportabile, che Loach ci pone negli occhi di chi ha cercato, riuscendoci, a portare a galla la verità, Margaret Humphreys (interpretata, appunto, dalla Watson), e delle vittime, dal tenero e ruvido Jack (Hugo Weaving) allo strafottente Len (David Wenham), struggenti testimoni di un'ingiustizia insopportabile. Esempi di quei 130.000 bimbi ostaggi del cinismo di due stati canaglia e di una Chiesa complice silenziosa e veicolo di una strategia di pulizia etnica e sociale. Loach jr, forse rimane persino schiacciato da tutto questo dolore, e a volte scade in un piatto melodramma- soprattutto quando guarda nel privato della "salvatrice"- e in altre in una didascalica denuncia. Ma, di fatto, poco importa, perché di fronte a questa verità nascosta lo spettatore rimane annichilito e completamente coinvolto e sconvolto, indipendentemente dal talento dei bravi attori o dalle acerbe emulazioni filiali del cineasta. Un film che va visto- ancora non ha distribuzione italiana- e, soprattutto, diffuso e raccontato.